Christopher Pagani [intervista]: “per noi il lusso è avere una visione guidata dal cliente”
Abbiamo avuto il piacere e il privilegio di un vis-à-vis con Christopher Pagani, Direttore Marketing di Pagani Automobili, nel corso del quale abbiamo spaziato su diversi argomenti: dall’azienda, alla sua vision, alla clientela, passando per prodotto e aneddoti personali. Ecco la nostra intervista
San Cesario Sul Panaro – La Pagani Automobili rappresenta senza dubbio una delle massime eccellenze del nostro Paese. E per comprenderne meglio filosofia e vision abbiamo intervistato il Direttore Marketing dell’azienda, ovvero Christopher Pagani, che nel corso di una lunga e interessante chiacchierata ci ha parlato della filosofia Pagani e del rapporto diretto tra il Brand e i clienti. Ma anche di aneddoti personali e di molto altro ancora. Ecco cosa ci ha raccontato.

Chi è il cliente Pagani?
“Il cliente per Pagani è una fonte di ispirazione. Prima di tutto una persona o una coppia o una famiglia. Un elemento molto importante di questo rapporto con il cliente è il dialogo che si crea durante le fasi iniziali, quando dobbiamo entrare nel vivo della costruzione dell’oggetto per questa persona e capire quali sono gli elementi che lo emozionano, quali sono le cose che loro cercano in Pagani. Perché ci sono clienti che cercano la sportività, l’eleganza, la raffinatezza. Ci sono clienti che si ispirano ad elementi del passato, clienti che invece hanno idee un po’ futuristiche. Questo rapporto è un rapporto che comporta tempo: è proprio un investimento. Dedicare tanto tempo a capire loro cosa cercano in una vettura estremamente sportiva, ma anche inutile, perché non ti serve effettivamente per spostarti da un posto all’altro. Ma crediamo che è qualcosa che ti emoziona, è qualcosa che genera questa enorme passione. Un esempio incredibile di dialogo che si è instaurato con i clienti che oggi iniziano a ricevere Utopia, ad esempio, è il cambio manuale. Quando abbiamo prodotto Huayra dal 2011 in avanti non avevamo la possibilità di fare un’applicazione di cambio manuale, invece con Utopia, visto che avevamo ricevuto tante richieste dai clienti di tornare a questa soluzione, abbiamo studiato e ci siamo messi a lavorare con tanto impegno per creare una vettura – nell’anno 2020, quindi moderna – con un cambio manuale vero. E quindi gestire un 12 cilindri biturbo con questa trasmissione meccanica è stata una sfida incredibile. Però la soddisfazione di aver portato a casa quella che era la richiesta del cliente è stata enorme. E questa è solo una delle casistiche che si creano tutti i giorni qui all’interno di questo atelier creativo. E forse sono lo stimolo più grande: quelle che ci danno la voglia di andare avanti, perché impariamo tantissimo dai nostri clienti”.
Lei ha definito l’azienda un atelier creativo. Che differenza c’è tra un’azienda automotive tradizionale e un atelier creativo?
“Quando utilizziamo la parola atelier e ci aggiungiamo il concetto creativo, al di fuori di quello che fanno magari altre aziende nel campo dell’automotive, ci riferiamo proprio a un concetto che parte da un foglio in bianco. Oggi Pagani ha le competenze al suo interno per poter disegnare un’automobile da zero, per la parte di stile, per la parte meccanica, per la parte di materiali. Uno tra i tanti i materiali compositi – per cui Horacio è diventato famoso ormai dopo essere stato un pioniere più di 40 anni fa – e quindi cercare di tenere sotto lo stesso tetto le funzioni estetiche e ingegneristiche e unirle in quello che è il concetto che guida la nostra azienda, che è il concetto dell’arte e della scienza, quindi quello che diceva Leonardo da Vinci più di 500 anni fa nel Rinascimento, che questi due elementi potevano coesistere all’interno di un prodotto, chiamiamolo oggi un’hypercar. Quindi uno studio molto analitico di quello che si può fare a livello ingegneristico anche nella ricerca della bellezza, proprio la ricerca del bello. Che oggi vuol dire anche artigianato, vuol dire lavorare con le mani sbattendoci la testa tante volte, perché le cose fatte con le mani spesso sono anche le più difficili. E quindi devi dedicarci tanto tempo. E questo è quello che notiamo all’interno del nostro atelier: che le persone devono entrare a contatto con i materiali e conoscere quello che si fa nei diversi ambiti di un’azienda complessa, perché dal disegno, alla progettazione, alla commercializzazione, all’omologazione di una vettura che poi deve girare per strada devi entrare proprio nel merito di ogni singolo elemento di questa che è una macchina che sembra semplice. La cosa complicata però è proprio che tutti questi aspetti li devi seguire da vicino e sono elementi che devono parlare tra di loro”.
Il concetto di hypercar si porta dietro tante cose, come la ricerca. Ci può fare un riassunto di quelle che sono le caratteristiche di un’hypercar? Qual è la sua visione? E qual è stato il suo percorso di vita?
“Descrivere in poche parole quello che è stato il percorso all’interno di questo ambiente chiamiamolo officina, chiamiamolo atelier… forse nel tempo a questo spazio è stato anche attribuito un valore diverso in base anche al mio coinvolgimento con l’azienda. Quando sono stato per la prima volta davanti alla Zonda – che è stata presentata nel Salone di Ginevra nel ‘99 – io avevo 11 anni, quindi ero un bambino molto molto piccolo. E che aveva diversi interessi e non sapeva ancora cosa sarebbe successo oggi. Però un elemento che credo molto centrale nella storia della nostra famiglia, all’interno di questa azienda, è che con mio fratello Leonardo abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con l’azienda da quando eravamo veramente molto piccoli. Ho parlato del ’99, ma potevo parlare di quando avevo 7, 8, 9, 10 anni e mio papà ancora lavorava per Lamborghini e devo dire che lui non ha mai nascosto niente del suo lavoro, anzi: ci ha sempre portato delle testimonianze di quello che faceva ogni giorno, ci portava in officina… con lui mia mamma Cristina che l’ha sempre supportato. E ha sempre lavorato nell’azienda familiare, quindi l’officina era un po’ il nostro playground, il nostro parco giochi. Quando eravamo bambini giocavamo con i nostri colleghi un po’ più adulti di noi, che erano i colleghi di mio padre, con cui è stata creata la prima azienda. E se facciamo un salto di 30 anni… oggi ricopro la figura di Direttore Marketing e ho avuto la possibilità, grazie al lavoro, di raccontare un’azienda partita da una persona ad un’azienda che oggi ha quasi 200 impiegati con diverse sedi in giro per il Mondo e più di 20 Concessionarie. Il coinvolgimento della famiglia è sempre stato libero: mio padre e mia madre ci hanno sempre dato tutta la libertà di entrare ed uscire e di decidere di partecipare o no. Loro hanno sempre detto: ‘se tu vuoi fare il Dottore, vuoi fare l’Architetto o vuoi fare il musicista puoi farlo. Sappi che qui c’è terra fertile per imparare’. Poi quando hai la fortuna di nascere in una città come Bologna, quando mio papà lavorava in Lamborghini e poi ci siamo spostati a Modena, la passione per l’automobile è palpabile. È qualcosa che veramente la senti e la tocchi ogni giorno grazie alla storia che è stata creata dagli altri brand della Motor Valley quindi Ferrari, Lamborghini, Maserati, Ducati. Ho avuto questa grande fortuna di poter partecipare ai primi eventi o alle prime presentazioni. Il mio ruolo era pulire le macchine o mettere in ordine; fare il commesso al negozio dove si vendevano le magliette o scaricare le macchine dal camion e posizionarle sullo stand e piano piano accompagnato questo da un percorso di studi: prima nella meccanica. Qui a Modena c’è tanta scuola sulla meccanica, e poi all’Università di Economia e Marketing, la mia passione: il mio focus è sempre stato più sulla parte commerciale, più sulla parte del Brand. E quindi oggi ho questa responsabilità: di raccontare chi è Pagani, cos’è Modena, cos’è la Motor Valley cosa si fa qui. Raccontarlo nella declinazione dei diversi linguaggi che possono capire dall’appassionato al giornalista, al cliente ai diversi target che noi andiamo a colpire. E questa è una bellissima opportunità, lo faccio con grande responsabilità. Una cosa che sentirete anche camminando per queste stanze, all’interno di questo atelier, è che qui si impara. Non è detto che io un giorno sarò quello che è oggi Horacio: c’è un tema di responsabilità. C’è un tema di essere pronti a fare il lavoro che compete alla persona più preparata. Quindi è un percorso che oggi ci stiamo godendo tantissimo con mio fratello Leonardo e speriamo un giorno di avere le capacità per poterlo portare avanti, perché è un’azienda familiare e ovviamente vive anche di questo concetto di famiglia che rimane molto all’interno di questo ambito”.
Secondo lei quali sono stati gli ‘ingredienti’ della ‘ricetta Pagani’ che hanno condizionato la realtà di oggi?
“È sempre difficile dare una descrizione analitica di quello che è stato fatto qua dentro perché anch’io spesso, quando cerco di interpretare il lavoro che è stato fatto da Horacio e dalle persone che hanno fatto hanno accompagnato questa sua avventura dall’inizio, trovo difficile trovare tutti gli spunti. Tra gli elementi che condizionano o che hanno condizionato la realtà di oggi troviamo certamente la scelta che Horacio ha fatto quando aveva vent’anni. Ovvero che la sua azienda doveva essere a Modena. Non poteva essere in un’altra città al mondo, perché qui è dove c’è la conoscenza dell’automotive a livello sportivo, le macchine più importanti a livello sportivo. Un altro elemento estremamente importante è la ricerca dei materiali: quindi l’essere stato pioniere nei materiali compositi ci ha messo nella condizione di essere preparati nel creare una realtà che non si era mai vista, perché prima le macchine le facevano i batti lamiera e mio padre ha visto un futuro nel creare una nuova tecnologia costruttiva delle auto sportive, delle hypercar quindi, allontanandosi dal concetto del batti lamiera. Lui dice che è difficile insegnare alle nuove generazioni che devono mettersi lì a martellare un pezzo di lamiera per imparare a fare una carrozzeria, quindi utilizzando i materiali composite si riusciva a dare una certa rotondità e con un aspetto anche più tecnologico di quello che veniva fatto nelle carrozzerie e in tanti altri componenti di una vettura. Un altro ingrediente estremamente importante è stata la scelta, dal primo momento, di utilizzare una motorizzazione Mercedes-AMG. Loro grazie a Fangio hanno creduto in noi. Lui ci ha supportati dandoci la possibilità di parlare con il Gruppo Daimler. Una cosa che non è mai successa prima in Mercedes, ovvero che un’azienda familiare possa aver avuto accesso ad un motore dedicato, quindi ad un motore fatto per Zonda, poi per Huayra. Oggi il motore si chiama Pagani V12. Anche questo è sicuramente uno degli ingredienti più importanti, ma poi credo che si sia definita una nuova nicchia di mercato. Questo prodotto non dico che non esisteva, però forse fatto così non aveva ancora visto tutto il suo sviluppo, perché una macchina non è sempre ‘ideale’. Entri da questa porta e ti trovi una vettura che: la puoi fare del colore che vuoi, la puoi fare con la pelle che vuoi, puoi fare delle modifiche per farla diventare più vicina a quello che sei tu, viene fatta con le mani con un artigianato esperto e viene fatta in una tiratura molto limitata. Ci sono degli elementi che sono stati applicati per la prima volta in Pagani. Questo oggetto che prima magari non veniva capito benissimo. Anche questo approccio è stato estremamente innovativo nel mondo dell’hypercar”.

Che cos’è per lei il lusso?
“Il lusso per me… è difficile da spiegare, difficilissimo. Forse perché all’interno della Pagani o all’interno della vita di una persona che si è affiancata tanto a questo prodotto in realtà il lusso cambia nel tempo: è cambiato tantissimo. All’inizio il lusso era per noi forse riuscire a fare un prodotto che venisse capito, quindi già lì la sfida era spiegare qualcosa che era estremamente innovativo e l’innovazione era proprio legata a questi elementi: la scarsità, il fatto che venisse fatto con le mani e tutti questi concetti che da spiegare sono difficili ad un cliente che comunque è preparato- Arriva un cliente che sa, che è un collezionista, che ha comprato macchine da grandi brand del lusso: Bentley, Rolls-Royce. Quello era lusso, quello è lusso. E quindi andare a spiegare ad un collezionista la nostra visione del lusso era estremamente difficile, perché forse molto diversa da quella che era la visione del lusso di altri brand. Forse per noi il lusso è proprio la libertà di fare le cose in questo modo, quindi nell’essere un’azienda familiare che si mantiene tale, il lusso è riuscire a lavorare su progetti di lungo termine, quindi anche a 10-15 anni sul prodotto. E grazie ai clienti avere una visione di dove stiamo andando. Ed è una visione che non si rivoluziona, che si modifica nel tempo ma grazie all’aiuto di persone che ci accompagnano in questo viaggio. Quindi probabilmente nel tempo continuerà a modificarsi il concetto del lusso”.
Pensiamo che il lusso generi emozione. Le auto e le moto secondo noi hanno un’anima. C’è un’auto che, in particolar modo tra tutte quelle che avete prodotto, sente che abbia più un’anima di tutte le altre? Qual è la sua preferita, quella che sente maggiormente sua? E se sì per quale motivo?
“Sì. Se dovessi spiegare quella che è la vettura che per me si avvicina più di altre al concetto di lusso o al concetto di questo attaccamento che uno può avere a qualcosa che noi abbiamo creato, torno a quando avevo 14 anni. Ero bambino, camminavo e scorrazzavo per questi ambienti dove si costruivano le macchine e mi ricordo che stavamo facendo questa macchina blu – che ora è nel museo – ed è una Zonda S: una macchina bellissima, con questo colore Blu Francia, con un interno molto chiaro e mi ricordo che mi ero innamorato così tanto di questa macchina che la prima cosa che ho fatto, appena preso il patentino per andare col motorino, fu quella di farmi la mia Vespa dello stesso colore: l’avevo personalizzata uguale. Quindi andavo in giro con la Vespetta con gli stessi colori della macchina. E la storia è così interessante nel tempo che poi anni dopo siamo riusciti a convincere il cliente che aveva quest’auto a rivendercela. Siamo riusciti, dopo una trattativa difficilissima, a poter riacquistare questa vettura – pagandola un prezzo molto superiore a quello a cui l’avevamo venduta – per poterla avere come macchina da tenere all’interno del nostro Museo (scopri il nostro speciale sul Museo Pagani QUI). Se oggi mi chiedete qual è la macchina che guiderei con più piacere è ancora quella, perché c’è proprio questo ricordo del camminare all’interno dell’officina, vederla lì e ogni volta mi dico: “WOW!”. Forse era stato proprio un colpo di fulmine…”.
Lei prima ha parlato di territorio e di connessione con il modenese. Come si riflette il territorio in cui vivete su un prodotto come quello che producete voi? È un dato di fatto che le vetture più belle del Mondo nascano qua… cosa c’è in quest’area che da altre parti non c’è? E qual è l’elevator pitch per Pagani?
“È difficile da spiegare se non sei stato abituato a crescere in questo territorio qui. C’è tanto da imparare dalle aziende che hanno fatto cose incredibili a Modena, a Bologna. Quindi Ferrari, Maserati, Lamborghini, Ducati. C’è da imparare tanto da loro, ma forse se ci stacchiamo un attimo dai grandi nomi sono le persone dietro alle piccole officine meccaniche, a tutto l’indotto che nel tempo si è creato all’interno di questa Motor Valley. È facile raccontare la Motor Valley tramite i grandi nomi. Ma forse la cosa più bella e più affascinante è sapere che c’è da qualche parte un’azienda che è stata tramandata per più generazioni e che ha supportato la crescita di questi grandi nomi. E spesso sono aziende di persone che hanno una passione così grande, un amore così grande per il lavoro, per l’innovazione, per la tradizione, per la meccanica. E qui c’è… si potrebbe stare qui a raccontare la storia della Motor Valley per ore. In realtà si parte dal fatto che qui venivano fatte le carrozze, che poi sono diventate motorizzate. Si facevano gli autobus, poi si facevano le macchine agricole e piano piano poi è nato questo mondo magico della Motor Valley, che si è alimentato nel tempo e che ha attratto tante persone capaci che sono venute a dedicare la loro vita a questa Motor Valley. Anche oggi è un posto dove continuano ad arrivare persone che la stanno modificando e che la stanno facendo evolvere nel tempo, quindi c’è tanto fermento perché comunque siamo ancora riconosciuti come degli artisti, perché non facciamo centinaia di migliaia di macchine all’anno. Quindi se guardiamo ancora i grandi nomi siamo ancora piccolini e qui si può fare innovazione, si può fare tanta ricerca e non ci dobbiamo fermare. E dobbiamo fare gruppo: ci dobbiamo aiutare e dobbiamo investire tantissimo nelle Università nei centri di ricerca, nei circuiti per andare a testare queste cose nuove. Credo che sia proprio una missione non mollare. Perché potrebbe sembrare semplice mollare, spostarsi e andare via da qui. Perché qui è difficile comunque. Non è facile rimanere a Modena o rimanere in questa regione. Però non bisogna mollare, bisogna rimanere, bisogna investire e noi lo stiamo facendo, nel nostro piccolo. Però c’è questa intenzione anche da tutti gli altri player che sono all’interno di questo ecosistema. Ed è bello: c’è unione e quella è la cosa più interessante. Dove in passato c’era competizione oggi c’è proprio questa unione… l’elevator pitch per Pagani… me lo chiedo anch’io come farlo. Nel senso che mi fa sorridere che spesso quando qualcuno si presenta dall’altra parte, non conoscano un’azienda così piccola e così giovane. Quindi poter in quei pochi secondi raccontare chi siamo è una cosa estremamente difficile. Però siamo forse un esempio di qualcosa che si poteva fare: quindi con il lavoro, con il sacrificio, con una direzione. È credo la lezione più grande che noi possiamo dare. Io mi metto in prima persona, però dovrebbe essere mio padre Horacio a raccontarlo, che è un figlio di un fornaio, che è nato in Argentina, in un posto dove facevano tutt’altro che automotive. Lui credo ci riassuma in poche parole un concetto: che è possibile. Che si può fare. Perché lui non è laureato, è figlio di un fornaio e ha inseguito questo sogno. Forse è come il sogno dell’atleta che si deve preparare per fare le Olimpiadi. E lui credo che abbia fatto le Olimpiadi e i risultati oggi si vedono e sono queste auto che lo raccontano. Ma non è soltanto l’auto: è l’azienda come esempio sociale di qualcosa che si mantiene nel tempo e che si spera si possa tramandare domani. L’spetto più significativo di quando dobbiamo raccontare chi siamo forse lo troviamo nel racconto di un ragazzino che scappa dall’Argentina per venire in Italia per fare le sue auto. E quello è il sogno. È il sogno che si avvera. Un sogno che si sposta sempre più avanti. E questo esempio speriamo di poterlo tramandare nel tempo, perché è importante che le nuove generazioni capiscano che se si lavora duro, e uno ha una direzione, si può fare è qualcosa che è alla portata di tutti. Lo dice il figlio di un fornaio che non è laureato e che ha creato un’azienda automobilistica. Ma forse è semplificarlo raccontato solo col prodotto: è veramente un ecosistema che si trasforma nel tempo e che oggi crea hypercar ma ha la libertà di fare tantissime cose”.