Museo Pagani [speciale]: un viaggio all’interno del sogno di Horacio
Abbiamo visitato il Museo Pagani di San Cesario Sul Panaro, scoprendo la storia di un marchio divenuto leggendario e i sacrifici alle spalle del sogno di un uomo di nome Horacio. Venite con noi alla scoperta di un mondo fatto di passione, artigianalità e abnegazione riassunto nelle parole Zonda e Huayra!
San Cesario sul Panaro – Un’azienda fuori dallo spazio e dal tempo. Si potrebbe definire così Pagani Automobili. Una vera e propria perla nel cuore della Motor Valley e che si erge all’interno di un forziere stracolmo di preziosi tesori. Un viaggio all’interno di un sogno. Un sogno che è poi quello di un uomo, di Horacio Pagani (fondatore del marchio). Un uomo comune che di comune non ha niente. Il sogno di quest’uomo parte infatti da molto indietro e da molto lontano, da quando era ancora un bambino che viveva in Argentina e che altro non aveva in testa se non due cose solamente: i motori e la sua vision per essi. Nato e cresciuto a Casilda, in Argentina (nella provincia di Santa Fe), il suo sogno si sviluppa, matura e cresce qui in Italia sino a divenire l’invidiabile realtà che è ora, ovvero un atelier unico nel suo genere ove vedono la luce delle hypercar uniche al Mondo e che prendono il loro nome dall’universo dei venti (Zonda è infatti un forte vento caldo che soffia nelle pampas argentine, mentre Huayra è la divinità andina del vento). Ispirato dal mito di Leonardo da Vinci (che vuole bellezza artistica e funzionalità tecnica andare a braccetto), Horacio Pagani sogna, da bambino, i grandi Saloni automobilistici europei. Sogna la velocità, le automobili. E dimostra, precocissimo, una grande propensione per esse. Sogna la sua auto. E sogna l’Italia, la patria delle supercar. La terra di Ferrari, di Lamborghini, di Maserati. La terra dei motori. La Motor Valley. E sa che è proprio attraverso questa “Mecca” che dovrà passare per trasformare il suo sogno in realtà.
Quando il sogno supera la paura dell’incerto: l’incredibile storia di Horacio Pagani
E allora parte, con estremo coraggio. Senza avere nulla con sé, fuorché due biciclette, una tenda e la sua compagna. Senza avere un’occupazione stabile. Senza avere – all’apparenza – un futuro davanti. Senza avere un heritage (è figlio di una famiglia di fornai), senza avere certezze. Senza avere nulla fuorché un sogno. Un sogno più forte della paura, dell’incertezza, dell’ignoto. Un sogno più forte di qualsiasi cosa. Un sogno talmente folle da realizzare che proprio per questo è andato poi a trasformarsi in molto più che in realtà. È divenuto leggenda. È divenuto storia. Ma facciamo un salto indietro nel tempo. Siamo a Casilda, dicevamo, (un paesino ad economia rurale in provincia di Santa Fe) in Argentina. Un luogo che lui stesso ora come ora definisce scherzosamente ‘Terzo Mondo’. Nella cameretta di un dodicenne (età in cui dà alla luce una mini-moto da lui interamente costruita e progettata) in cui questo dà sfogo a tutte le sue passioni ingegneristiche e artistiche. Nella quale questo inizia a intravedere un sogno da inseguire con determinazione e passione. Partendo da questa cameretta arriva ad entrare in contatto con il grande Juan Manuel Fangio, di cui diviene tecnico della sua monoposto di Formula 2. E tramite il grande pilota argentino giunge a Modena: nella patria della cultura motoristica. Ove inizia un percorso difficoltoso e ricco di ostacoli e fatto di colloqui in Ferrari e in Lamborghini che non andarono a tradursi in quanto sperato. Tornò quindi in Argentina, dicendo alla sua famiglia e a quella della sua compagna che aveva trovato lavoro qua in Italia. Il che non era vero. Ma il giovane Horacio sapeva in cuor suo che per realizzare il proprio sogno sarebbe dovuto passare da qui: attraverso il nostro Bel Paese. E allora tenta e ritenta fino a quando non riesce ad entrare in Lamborghini come semplice operaio di terzo livello, per arrivare, nell’arco di due anni, a dirigere il neonato reparto materiali compositi, ove iniziò a padroneggiare la sua tecnica (e la sua ricerca) sulla fibra di carbonio e su una lunga serie di materiali incredibilmente innovativi per l’epoca. Ma l’inizio degli anni ’90 portò con sé la Guerra del Golfo e l’Operazione Desert Storm (l’Operazione Locusta per noi italiani). E in conseguenza di ciò, numerose aziende europee furono costrette a drastici tagli di costi extra, tra cui la Casa del Toro, che decise di chiudere proprio il reparto materiali compositi (un reparto sperimentale per l’epoca) in cui lavorava Horacio. E progetti come la Countach Evoluzione, non videro mai la luce.
Le opportunità sono dall’altra parte dei problemi: la svolta
Ma in ogni problema, si sa, si nasconde un’opportunità. Horacio Pagani si stacca quindi da Lamborghini per fondare la Modena Design. Fece un leasing, comprò l’autoclave e grazie alla sua azienda realizza quindi componenti in CFRP – come fornitore esterno – per Lamborghini, Ferrari e Alfa Romeo. Ed instancabile, la sera, quando tornava a casa, continuava a lavorare sull’auto dei suoi sogni: su quella vettura che avrebbe dovuto prendere il nome da Fangio ma che si sarebbe chiamata poi Zonda (in seguito alla morte del pilota argentino nel 1995, decise di non utilizzare il suo nome, dedicandogli poi, in un secondo momento, la Zonda F a lui intitolata), una vettura che rispecchiava il sogno e le energie di due persone, ovvero di Pagani e di Fangio. Due persone che volevano assolutamente vedere quella vettura realizzata, in quanto compendio delle loro passioni e delle loro idee. Ciò che nacque è storia. Una storia che ci troviamo ad esplorare, a comprendere e ad ammirare presso il Museo Pagani, situato in via dell’Industria 26 a San Cesario sul Panaro (MO), ove si erge il più nuovo dei due stabilimenti dell’azienda. Una struttura mastodontica. Un capolavoro di arte architettonica che cerca e trova nelle vetture qua prodotte un legame diretto e viscerale: esattamente come fatto su Zonda e Huayra, anche l’atelier modenese fa incontrare in un sol corpo estetica e funzionalità, come ci spiega Giulia Roncarati, Communication & PR Manager di Pagani Automobili: “nella vecchia sede oggi sono rimasti il centro stile e l’R&D, ove vengono sviluppati i progetti sperimentali e tutto quel che c’è di nuovo. Qui abbiamo spostato tutta la produzione. Siamo venuti qua, in un edificio che all’epoca utilizzavamo come reparto di Ricerca e Sviluppo (quindi come reparto sperimentale), e lo abbiamo rimesso a nuovo. Man mano abbiamo costruito questa nuova area senza affidarci a nessuno studio di architettura, ma disegnando davvero ogni dettaglio della struttura sfruttando gli stessi concept che caratterizzano le nostre auto: ponendo attenzione ad ogni singolo dettaglio e facendo in modo che design ed estetica andassero a braccetto”.
Una struttura ispirata da Eiffel
“Tutta la struttura è antisismica – prosegue Giulia Roncarati – ed è tutto ovviamente a norma di legge, ma Horacio Pagani e i suoi due figli hanno curato il design di ogni particolare: vengono quindi ampiamente utilizzati molti dei materiali che troviamo sulle nostre vetture. Troviamo gli intarsi di carbonio un po’ ovunque e abbiamo personalizzato dappertutto: al posto delle travi abbiamo dei braccetti che ricordano quelli delle sospensioni delle auto. Ci sono un mix di materiali e di ‘sapori’ abbastanza differenti tra loro in questa struttura. Abbiamo il vetro e il ferro (un binomio molto moderno) accostati a materiali più tradizionali, come il mattone a vista ‘antico’, che ci ricorda che siamo in Italia, che siamo a Modena e che siamo amanti dell’arte rinascimentale e del bello in generale. La tecnica costruttiva a doppia C di ferro, con i bulloni cromati, è stata presa da Eiffel. Tempo fa Horacio Pagani si trovava in Francia, nella residenza estiva di un cliente, ove vide – all’esterno – una serra in vetro costruita proprio da Eiffel. E si innamorò quindi della sua tecnica: motivo per il quale decise di utilizzarla per questo atelier, la cui facciata rispecchia, in senso opposto, esattamente quella del vecchio stabilimento (che presenta un’inclinazione opposta ma speculare), il quale oltretutto resistette perfettamente al terremoto del 2012: motivo per cui tutti i lavori vennero affidati alla stessa azienda modenese che, all’epoca, ne curò la realizzazione”.
‘La Nonna’: un omaggio alla capostipite di una grande famiglia
Appena si accede all’interno del Museo Pagani si passa attraverso un vero e proprio percorso cronologico lungo le tappe del cammino di Horacio: dalla sua vita in Argentina (passata infatti una sala “introduttiva” in cui è possibile ammirare dei filmati – una sorta di ‘cinema’ che introduce all’esperienza di visita e all’uomo Horacio Pagani, uno spazio nel quale è possibile comprendere come lui, sin da bambino, fosse determinatissimo a raggiungere il suo sogno e che viene raccontato da Gustavo Marani: suo amico d’infanzia in Argentina – si accede ad un’area espositiva che riproduce la sua precedentemente menzionata cameretta d’infanzia a Casilda) fino alla più consolidata e conosciuta contemporaneità, passando ovviamente per gli albori della stessa: dalle prime vetture per arrivare sino all’odierna Huayra (di cui l’azienda ha recentemente provveduto a completare tutta la produzione inizialmente prevista). Un Museo che fu inaugurato nel dicembre 2017 e che ha portato il marchio Pagani Automobili in una nuova dimensione di esperienza di visita, dal momento che tutte le vetture qua esposte sono state riacquistate dai clienti allo scopo di riunirle all’interno di una collezione, in quanto una produzione così limitata non concedeva la possibilità di dare spazio alla conservazione di una vettura per ogni Zonda o Huayra prodotta. Ad aprire questa meravigliosa collezione, troviamo la Zonda ‘La Nonna’: una Zonda della prima serie completamente restaurata allo scopo di riprendere la configurazione del modello originale (ovvero una C12 del 1998 con motore M120 da 6.0 litri di cubatura e da 400 CV di potenza e capace di oltrepassare 330 km/h di velocità massima). Come ci spiega infatti Giulia Roncarati, la prima Zonda fu presentata nel 1999 al Salone di Ginevra (completamente omologata), ma questa vettura non è presente all’interno del Museo, qua è possibile osservare “la sua sorella più diretta: il telaio numero 2, che noi abbiamo denominato scherzosamente ‘La Nonna’, dal momento che è stata il muletto con cui abbiamo sviluppato tutte le versioni della Zonda che sono poi seguite. Oggi questa vettura assomiglia per certi aspetti alla Zonda Cinque, ma racchiude componenti di tutte le altre versioni. E ormai è un’auto leggendaria perché ha all’attivo più di 500.000 km!”.
L’incontro tra Horacio e… Leonardo da Vinci!
Da qui in poi. Bhé, da qui in poi tutto è stato una pallina su un piano inclinato: sono iniziate a nascere le varie serie speciali della Zonda e si è arrivati poi alla Huayra. Il tutto mantenendo come saldo riferimento il mito di da Vinci. Come ci spiega Giulia, la figura di Leonardo ha profondamente influenzato la visione ingegneristica di Horacio: per lui, come per il grande genio italiano, estetica e funzionalità devono sempre andare a braccetto. “Definiamo ciò che lega la figura di Horacio Pagani a quella di Leonardo da Vinci come ‘l’incontro’ – prosegue Giulia Roncarati – un ‘momento’ che rappresenta una chiave di lettura fondamentale per tutto ciò che si vede qua dentro. Questo ‘incontro’ è avvenuto nella vita del giovanissimo Horacio, mentre leggeva uno dei magazine di suo papà, che parlava, tra le altre cose, delle auto sportive europee e modenesi in particolare. Contemporaneamente a ciò, iniziò ad assimilare informazioni sulla vita di Leonardo da Vinci, comprendendo così il matrimonio tra arte e scienza. Un oggetto non deve essere per forza esclusivamente funzionale, ma deve essere anche bello allo stesso tempo. Nacque così la filosofia Pagani: la bellezza che trasmette un’emozione, come fa un’opera d’arte, è un feeling che l’uomo ricerca in continuazione nella propria vita e di cui non riesce a fare a meno. Horacio dice di essere stato molto fortunato nella vita, perché ha avuto, sin da piccolissimo, questa passione per l’automobilismo e per le supercar. Il suo sogno era quello di arrivare a disegnare la supercar più bella del Mondo. E iniziò così a lavorare sul legno di balsa: un legno molto facile da reperire in Argentina e, soprattutto, da lavorare. E insieme ai suoi amici d’infanzia (tra cui il già menzionato Marani) iniziò a sperimentare dalla tenera età di 7 anni”.
Filosofia Pagani: a way of life
Un concetto questo che viene esteso veramente ad ogni aspetto della vettura: “anche la tessitura del carbonio che usa Pagani – prosegue Giulia Roncarati – rappresenta il risultato finale di una ricerca sviluppata da Horacio, al punto di essere arrivato a brevettarne delle tipologie proprie. Come studioso e inventore ha creato una trama in CFRP in grado di promettere maggior resistenza, flessibilità ed elasticità rispetto a soluzioni precedentemente esistenti. Anche in questo Horacio ha dato quindi un contributo alla causa non indifferente”. La filosofia Pagani è stata quindi abbracciata anche dai numerosissimi fornitori dell’azienda. Come continua a spiegarci Giulia infatti, anche “i motori V12 prodotti da AMG (per la cui fornitura e per il cui supporto fu fondamentale l’intervento di Juan Manuel Fangio) sono comunque disegnati in collaborazione con Horacio. Tutti i partner di Pagani hanno adottato la filosofia dell’azienda: non è solo una questione di fornitura delle componenti, ma di realizzare cose che non siano solo funzionali ma anche belle. Un esempio ne è l’ASPA, che ha aperto un nuovo reparto produttivo in cui si respira l’aria Pagani. Il lavoro diviene quindi più simile all’opera di un artista: noi usiamo sempre la metafora del marmo di Carrara. Chi realizza una delle nostre vetture è un po’ come se fosse uno scultore che lavora sul suo blocco di marmo: molte componenti sono ricavate dal pieno (tra cui i cerchi). Risulta quindi facile comprendere la similitudine con tale tipologia di artista. Pagani quindi non ha semplici fornitori, ma persone che supportano e credono quello che Pagani fa fino in fondo. AMG, Brembo, Pirelli ecc. hanno realizzato soluzioni su misura. Anche la scelta dei materiali è fondamentale: Pagani è stato uno dei primissimi marchi ad utilizzare la fibra di carbonio, ma anche il titanio, che fino a poco tempo fa veniva utilizzato quasi esclusivamente all’interno dell’industria aeronautica, allo scopo di incrementare la resistenza del telaio agli impatti”.
1999: Pagani Zonda C12. Il coraggio della prima!
Ma ritorniamo quindi alla prima Zonda. Siamo nel 1999 dicevamo. E, come continua a spiegarci Giulia Roncarati: “Pagani riesce a portare al Salone di Ginevra una macchina che fece all’epoca molto scalpore, ovvero la C12, interamente colorata in tonalità argento. E da lì si aprì un nuovo capitolo nella storia dell’automotive, perché prima non si era mai vista una macchina così. Una delle particolarità delle automobili Pagani è quella di essere sempre una one-off. Questo perché, nonostante esistano numerosi esemplari dello stesso modello, quest’ultimo in realtà è unico. Ad esempio la sola struttura in carbonio, essendo fatta a mano, presenta chiaramente delle imperfezioni che una macchina non riuscirebbe mai a generare, come ad esempio quella che noi definiamo ‘lisca di pesce’: una ‘linea netta’ collocata nella parte centrale e caratteristica delle nostre auto, che viene generata dall’unione fatta a mano delle due metà del corpo-vettura da parte dei nostri ‘sarti’, come li definiamo noi”.
2000: Zonda S
La seconda vettura che troviamo all’interno del Museo Pagani è la Zonda S, con cuore V12 Mercedes-AMG da 7.3 litri (con bielle in titanio e sostenuto da un telaio in cromo-molibdeno) e capace di 555 CV di potenza e di 750 Nm di coppia a 4.050 giri (di cui 620 Nm disponibili a partire da soli 2.000 giri/min): valori questi che vanno a tradursi in uno 0-100 km/h in 3.7 secondi e in un rapporto peso-potenza di 2.30 kg/CV. Telaio di supporto anteriore (progettato per assorbire gli urti) e posteriore hanno funzione portante e sono tra gli elementi caratteristici della Pagani Zonda S, che sfrutta inoltre delle sospensioni in alluminio e che ferma l’ago della bilancia a quota 1.250 kg. L’esemplare esposto all’interno del Museo Pagani è il telaio numero 6 del 2000, seguendo così ad un anno di distanza la prima Zonda C12 presentata al Salone di Ginevra. “Pagani riesce a portare al Salone di Ginevra una macchina interamente in carbonio, tant’è che questa sua presa di posizione fece all’epoca molto scalpore. La sua sfida – continua a raccontarci la dott.ssa Roncarati – fu proprio quella di dimostrare che un materiale che fino al giorno prima veniva verniciato e coperto, adesso poteva diventare qualcosa da poter sfoggiare e di bello. E da lì si aprì un nuovo capitolo nella storia dell’automotive, perché prima non si era mai vista una macchina con questo tipo di carrozzeria”.
2005: arriva la Zonda F. L’omaggio al grande Fangio
Proseguendo la nostra visita all’interno del Museo Pagani, ci imbattiamo a questo punto nella terza vettura che troviamo all’interno di questa collezione, ovvero la Zonda F, nuovo modello della Casa modenese che arrivò “5 anni dopo, ovvero quello che venne poi finalmente dedicato al grande Fangio: una persona che non è stata solo l’eroe di Horacio da piccolo, ma anche il personaggio chiave che ha permesso l’inizio di una partnership duratura e leale come quella con AMG. Questa è infatti una delle vetture più amate da Horacio stesso: fino alla HP Barchetta è stato il suo esemplare preferito”. Presentata al Salone di Ginevra del 2005, la Zonda F è interamente dedicata a Fangio nel nome, nel logo e nel concept. Cuore e anima di questa vettura è un V12 AMG da 7.291 cc ancora più evoluto e leggero e capace di 602 CV di potenza e di 760 Nm di coppia (il tutto per un rapporto peso-potenza pari a 2.04 kg/CV): valori questi che salgono a quota 650 CV di potenza e 780 Nm di coppia per la più performante versione Clubsport (che abbatte il rapporto peso-potenza a quota 1.89 kg/CV). Volante Nardi, finiture in legno e un cruscotto di nuovo disegno (che trae ispirazione dal mondo degli antichi orologiai) completano la caratterizzazione interna della Pagani Zonda F, che grazie ad una serie di inediti elementi in titanio, alluminio e inconel abbatte ancor più il valore indicato dall’ago della bilancia rispetto alla Zonda da cui deriva.
2006: Zonda F Roadster
Un anno dopo, nel 2006, arriva poi la Zonda F Roadster: una vettura che eredita il ‘patrimonio genetico’ della coupé, acquisendo però la rigidità strutturale necessaria per compensare l’assenza del tetto, ma senza pagare lo scotto di un aggravio di peso. Una sfida che ha richiesto una ri-laminazione del telaio e l’inclusione di una fibra di carbonio ad elevato modulo di elasticità (la quale ha sfruttato una resina speciale ed un tessuto più resistente). L’esemplare esposto nel Museo Pagani è il telaio numero 70, che fu proposto nella colorazione ‘Singapore Orange’ e che testimoni la capacità di Pagani – fin dai primi esemplari – di soddisfare la variegata richiesta dei sempre più numerosi mercati, dal momento che questa vettura disponeva già della guida a destra. “La sfida, nel realizzare questa vettura, fu infatti quella di contenere il peso, dato che normalmente nel caso delle versioni cabrio il peso cresce per via dei rinforzi operati sul telaio. E nonostante si parli di una vettura di 12 anni fa, si è riuscito a contenere il peso ben al di sotto di quello della maggior parte delle supercar odierne. La sfida – prosegue a spiegarci Giulia Roncarati – era quella di lanciare sul mercato una vettura che permettesse al cliente di godere del piacere di una roadster mantenendo un peso quanto più basso possibile. La seconda cosa molto interessante è il volante a destra: questo ovviamente ha consentito a Pagani di aprirsi a nuovi mercati. L’approccio tailor-made in questo caso l’ha facilitata tantissimo, perché chiaramente per via dei mercati inglese, australiano e via dicendo, c’era già pronto un veicolo omologato per quel Paese”.
2008: Zonda Cinque. La stradale più estrema
Nel 2008 arriva poi la Zonda Cinque, ovvero la Zonda stradale più estrema mai progettata fino a quel momento. Realizzata per soddisfare una specifica richiesta di un dealer di Hong Kong, fu prodotta in tiratura limitata a 10 unità, di cui 5 coupé e altrettante Roadster, combinando elementi derivati dalla Zonda R al telaio della Zonda F. La Pagani Zonda Cinque inaugurò inoltre una nuova generazione di fibre composite, in quanto prima vettura stradale con una struttura ‘ultra-rinforzata’ (ovvero con telaio in carbonio unito a elementi in titanio). L’esemplare esposto nel Museo Pagani rappresenta il telaio numero 5 della Roadster, che sfrutta un motore V12 AMG da 678 CV di potenza e 780 Nm di coppia, valori questi che – grazie anche ad un cambio sequenziale robotizzato multi-programma – vanno a tradursi in uno 0-100 km/h in 3.4 secondi e in uno 0-200 km/h in 9.6 secondi. Dotata di sospensioni regolabili (per adattare la vettura a qualunque uso e stile di guida), la Zonda Cinque Roadster annovera tra le sue caratteristiche anche un impianto di scarico in Inconel e titanio appositamente progettato dall’atelier modenese per questa vettura.
2013: Zonda Revolución. Quando l’asticella si alza oltre ogni limite
“Man mano che ci spostiamo verso la Revolución – prosegue la dott.ssa Roncarati – aumentano i CV mentre anche il peso scende. E i fornitori iniziano pian piano a realizzare oggettistica sempre più lavorata nel dettaglio, sposando così sempre di più la filosofia Pagani”. A chiudere la line-up Zonda all’interno del Museo Pagani è infatti un vero e proprio masterpiece, ovvero la Zonda Revolución, una vettura che rappresenta il culmine di performance, tecnologia e stile applicata ad una vettura da pista firmata Pagani. La Zonda Revolución sfrutta infatti una monoscocca in carbo-titanio (che, insieme ad altre soluzioni, ha permesso di fermare il valore indicato dall’ago della bilancia entro quota 1.070 kg) e un cuore V12 AMG da 6.0 litri rappresentante un’evoluzione di quello impiegato sulla R e in grado di sviluppare 800 CV di potenza e 730 Nm di coppia, garantendo così un rapporto peso-potenza di 748 CV per tonnellata: valori questi che – grazie anche ad un cambio sequenziale trasversale in magnesio (che permette cambiate in 20 ms) – vanno a tradursi in uno 0-100 km/h in 2.6 secondi e in una velocità massima superiore a 350 km/h. Controllo di trazione sviluppato da Bosch e con 12 differenti regolazioni, rinnovato sistema ABS, appendici aerodinamiche dedicate (che comprendono un DRS sull’ala posteriore attivabile tramite comando al volante) e dischi Brembo CCMR (realizzati con processi produttivi derivati dalla tecnologia Formula 1) completano la dotazione della Pagani Zonda Revolución, che venne proposta sul mercato ad un prezzo di 2.2 milioni di euro, tasse escluse. L’esemplare esposto all’interno del Museo Pagani rappresenta il telaio numero R00 del 2013 e sviluppato sulla base della precedente Zonda R, che nel 2010 girò in 6 minuti e 47 secondi sulla Nordschleife del Nürburgring. “La Zonda Revolución – come la R – non è omologata per l’uso stradale, ma è stata pensata esclusivamente per l’utilizzo in pista. C’è da considerare inoltre che non può essere utilizzata su tutti i circuiti – puntualizza la Communication & PR Manager di Pagani Automobili – per via della sua elevata rumorosità. Tutto l’impianto di scarico è ceramico: all’accensione produce un rumore indescrivibile. Sembra un terremoto! Ovviamente qui ci si è sbizzarriti in termini di soluzioni tecniche e di rapporto peso-potenza. Questa vettura ferma l’ago della bilancia a soli 1.070 kg”.
2011: dall’aspirato al biturbo. Benvenuta Huayra!
Dinnanzi alla Zonda Revolución troviamo invece un esempio dell’evoluzione dei motori Pagani: “uno della Zonda – ci spiega Giulia – e due della Huayra. C’è stata una collaborazione davvero molto stretta tra le due aziende nel disegnare il motore insieme. Un propulsore AMG ‘Stock’ non sarebbe stato accettabile a lato nostro. Come potete vedere, ogni propulsore porta la firma di chi ha realizzato il motore”. E dalla Zonda Revolución la time-line ci porta poi direttamente verso la Huayra, ovvero il modello attualmente in produzione (di cui è stato recentemente svelato l’ultimo esemplare previsto dell’iniziale produzione di 100 unità). Lanciata nel 2011, rappresenta il frutto di 7 anni di lavoro (lo sviluppo ha preso infatti il via nel 2003 con il codice di progetto C9), è composta da oltre 4.000 componenti e presenta un passo di 70 mm superiore di quello della Zonda (oltre ad una posizione di guida più arretrata di 40 mm). L’intera vettura è stata concepita come un’ala: è stato perciò necessario scavare la parte anteriore del fondo per prolungare il percorso dell’aria. Facendo ciò si è diminuita la differenza di velocità dell’aria tra la parte superiore e quella inferiore, permettendo così di limitare la tendenza dell’auto a sollevarsi in velocità. Le sospensioni attive anteriori e quattro flap alle estremità consentono il bilanciamento tra Cx (coefficiente di penetrazione) e Cz (carico verso il basso), mentre cuore e anima della Pagani Huayra (che ferma l’ago della bilancia a quota 1.350 kg di peso) è un V12 AMG biturbo da 730 CV di potenza e 1.000 Nm di coppia, affiancato nel funzionamento da un cambio sequenziale trasversale a 7 marce con sistema di robotizzazione AMT dotato di programmi di guida. “Seguendo un metodo che Horacio ha fin da quando era bambino, la Huayra ha preso forma tramite dei modellini in legno. In azienda c’è anche un modello in scala 1:1 della Huayra su cui sono stati fatti i primi test aerodinamici – conclude la dott.ssa Roncarati – una cosa curiosa è che si è detto che molti la appendono alla parete. È vero, ma paradossalmente è anche questo l’obiettivo di una macchina di questo genere. Horacio stesso dice che non ci si può mai stancare di osservarla e di trovare ogni giorno un nuovo particolare o un nuovo dettaglio che magari inizialmente non avevi colto. Alcune soluzioni, come le fascette che permettono l’apertura dei cofani, sono un tributo al mondo classico. E all’interno si apre un altro vaso di Pandora: ci sarebbe da parlare per ore e ore della cura maniacale del dettaglio di una vettura di questo genere. Ogni singola componente – che è stata ridisegnata rispetto alla Zonda, oltre che testata, chiaramente – è stata ridisegnata all’infinito. Noi parliamo di atelier, non di fabbrica. Di artigiani, non di operai, perché quello che facciamo qui va davvero oltre. È assoluta dedizione alla causa: è quello che ovviamente ci contraddistingue”.
Il sogno a portata di tutti: visitate il Museo Pagani!
E con la Huayra (proposta anche in versione Roadster, oltre che BC ecc) si conclude a questo punto la nostra visita all’interno del Museo Pagani (che non possiamo lasciare senza fare alla gentilissima Communication & PR Manager di Pagani Automobili un’ultima domanda: si sta al momento pianificando qualcosa di simile alla Zonda Revolución per la Huayra? “Non per ora. Per ora – risponde – il focus è concentrato su un altro progetto che non guarda al racing. Per ora. Si tratterà di un altro tipo di evoluzione stradale della Huayra”.), che aspetta tutti i visitatori presso lo stabilimento situato in Via Dell’Industria 26 a San Cesario Sul Panaro, dal lunedì al venerdì con orario 9:30 – 17:00 e al sabato con orario 9:30 – 12:30 e con un prezzo al pubblico (intero) di 22 euro. Un prezzo modesto per immergersi appieno nell’esperienza di un sogno. Per maggiori informazioni, rivolgersi ai seguenti recapiti: email: paganitour@modenatur.it; telefono: +39 059220022.