The Holy Trinity | PARTE 2 |: Ferrari LaFerrari
Proseguiamo nella nostra serie di racconti dedicati alla cosiddetta ‘Holy Trinity’ con una delle vetture più leggendarie di tutti i tempi. Allacciatevi le cinture, perché il nostro viaggio oggi ci porta a (ri)scoprire una delle hypercar più esagerate, belle e incredibili di sempre. Questa è la pazzesca storia de LaFerrari. Buona lettura!
Ginevra 2013, dicevamo. È da lì che siamo partiti – con la nostra retrospettiva dedicata alla McLaren P1 – nel parlarvi della cosiddetta ‘Holy Trinity’. E sempre quel giorno, in quell’occasione, debuttava in società la grande protagonista del nostro racconto odierno, una delle hypercar più sognate e apprezzate di tutti i tempi. Allacciatevi le cinture, perché questa è la gloriosa storia di una delle vetture più amate dagli appassionati di quattro ruote, nonché una delle auto più leggendarie mai prodotte dal Cavallino Rampante. Questa è la storia della Ferrari LaFerrari. Gli uomini di Maranello che accorrevano nello stand di Woking – dicevamo nel precedente articolo – ma anche inevitabilmente il contrario. Non appena cadde il velo dalla neonata Rossa, tra i primi ad accorrere verso lo stand della Casa modenese furono proprio coloro che all’epoca vestivano i colori McLaren. Per vederla per la prima volta dal vivo. E capire davvero con cosa dovevano incrociare i guantoni. E inutile dire che si trattava davvero di un peso massimo. Portata al debutto dinnanzi alla presenza di nientemeno che Luca Cordero di Montezemolo e di Sergio Marchionne (“non ce la faccio, troppi ricordi” – cit.) LaFerrari si presentò immediatamente come nuovo paradigma di mix tra eleganza e sportività. Sì, perché la nuova hypercar italiana non solo metteva in chiaro i suoi intenti con i numeri, con le performance; ma settava l’asticella più in alto anche in termini di stile, di design. La nuova sportivissima del Cavallino era (e forse rimane) la Ferrari più bella mai costruita sino a quel momento. E lo si denotava non solo dalla vista d’insieme, ma soprattutto dall’attenzione riservata ai dettagli: dalla forma ricercata della plancia, a quella dei sedili, passando per le attenzioni riservate alle feritoie d’estrazione e persino dai minuscoli forellini presenti all’interno delle uscite di scarico. Insomma: nulla su questa vettura era lasciato al caso, tanto in termini ingegneristici quanto stilistici. In poche parole: LaFerrari era una vera e propria dichiarazione d’intenti. E lo era sin dal nome. Abbiamo già parlato dell’importanza di quest’ultimo, ma in questo caso tale rilevanza viene elevata all’ennesima potenza. E a chiarirlo in tutto e per tutto fu lo stesso Presidente della Casa di Maranello (all’epoca Luca Cordero di Montezemolo) in data 5 marzo 2013 all’istante dell’unveiling della vettura: “Abbiamo voluto chiamare questa vettura ‘LaFerrari’ perché è l’espressione massima delle eccellenze della nostra azienda: l’innovazione tecnologica, le prestazioni, lo stile avveniristico, le emozioni di guida che sa trasmettere. È una vettura straordinaria, destinata ai nostri collezionisti, che ha in sé le soluzioni tecniche che in futuro saranno applicate ai modelli della gamma e costituisce il termine di confronto per tutto il settore. ‘LaFerrari’ rappresenta le migliori capacità progettuali e realizzative di tutta la nostra azienda, incluse quelle acquisite in Formula 1, un patrimonio di conoscenza unico al mondo”. Ma col senno di poi, aggiungeremmo, forse c’era anche di più. Montezemolo stava per cedere il passo a Marchionne in azienda. E forse lui, già lo sapeva questo. Quindi la scelta del nome ‘LaFerrari’ – giocando un po’ di fantasia – poteva indicare anche l’apice della Ferrari di Montezemolo: il massimo zenit della produzione stradale made in Maranello targata Luca Cordero.
La prima ibrida di Maranello. All’epoca dissacrante, oggi leggenda.
Ma partiamo dall’inizio: dal suo sviluppo. Perché come avvenuto per altre serie speciali limitate modenesi, questa vettura ha rappresentato l’occasione per sperimentare le tecnologie che in futuro sono poi state applicate al resto della gamma Ferrari, a partire dal motopropulsore ibrido, che sfruttando il know-how maturato dalla Scuderia sul KERS, declinò – per la prima volta nella storia del Cavallino su una vettura stradale – i valori fondamentali di una Ferrari (ovvero performance e divertimento di guida) in chiave ibrida. Ovviamente, come possibile immaginare, questa fu una grande sfida ingegneristica per la Casa di Modena. Specie per l’epoca. Perché se oggi ci sembra scontato che anche un’auto estrema come un’hypercar o una vettura di un brand sportivo e/o blasonato adottino soluzioni di questo tipo, all’epoca fu una vera e propria rivoluzione, anzi: per un marchio come Ferrari, nel 2013, suonava proprio sacrilego. Ma a Maranello ebbero il coraggio di osare. E – ovviamente – ebbero ragione loro. E (credete a chi vi scrive perché c’era) bastò vedere la vettura scoprirsi del suo telo per far cadere qualsivoglia scetticismo. Ma dicevamo che suonava sacrilego. Perché Ferrari è Ferrari. E perché i puristi sono puristi. E fino a quel momento accostare il concetto di V12 aspirato made in Maranello all’elettrificazione… bhé, suonava di bestemmia, anche se la soluzione arrivava direttamente dal mondo della F1 (a sua volta al debutto con il powertrain ibrido). Questa soluzione, derivata dalle competizioni, in Casa Ferrari si tradusse con il nome di ‘HY-KERS’: un equilibrio incredibile tra massimizzazione della performance e riduzione dei consumi. Al punto che LaFerrari dichiarava solamente 340 gr/km di emissioni di CO2. Al contrario di come avviene oggi, la vettura non prevedeva una modalità completamente elettrica, ma venne progettato per sviluppare poi i sistemi che conosciamo oggi in modo da consentirne l’uso in tal senso nel futuro. In fase di sperimentazione questa soluzione venne però testata anche su un esemplare de LaFerrari, al punto che tale versione, con marcia full electric, arrivò ad emettere soli 220 gr/km di CO2 sul ciclo combinato. Ma questa, ovviamente (e come facile immaginare) non era l’unica soluzione mutuata dalla F1 e portata qua al debutto. Infatti – per la prima volta su una vettura stradale del Cavallino – vennero presentati i controlli di dinamica integrati con l’aerodinamica attiva e con il sistema HY-KERS. Anche l’impostazione degli interni trovava la sua ispirazione nel mondo delle corse (dalla massima categoria in particolare), grazie a un’interfaccia uomo-macchina fortemente ispirata a quella della F1.

“Quando compri una Ferrari paghi il motore, la macchina te la regalo”. Una tecnica leggendaria
Ma visto che il Drake diceva: “quando compri una Ferrari paghi il motore, la macchina te la regalo”, per capire appieno la quintessenza de LaFerrari non si può non mettere questo tra i principali elementi di cui disquisire. Il motopropulsore termico segnava l’apice della ricerca motoristica Ferrari in quel momento: nientemeno che uno strepitoso V12 da 6.262 cc capace da solo di sviluppare la bellezza di 800 CV di potenza a 9.250 giri al minuto di rotazione massima (!) e con un rapporto di compressione pari a 13.5:1 per l’esagerata potenza specifica di 128 CV/l. E visto che questo a Maranello non bastava, pensarono bene di aggiungere alla lista anche il motore elettrico da 120 Kw, sviluppando così un pazzesco totale di 963 CV. Inoltre l’elevatissima coppia sviluppata dal motore elettrico a bassi giri consentì di ottimizzare il rendimento del termico agli alti regimi. Il risultato? Una mostruosa coppia totale di oltre 900 Nm! Il tutto per prestazioni da riferimento: LaFerrari ‘bruciava’ lo 0-100 in meno di 3”, lo 0-200 in meno di 7” e girò a Fiorano con un tempo inferiore all’1’20”, 5” (più rapida della Enzo e di oltre 3 secondi della F12berlinetta). La parte non termica era costituita da due motori elettrici – uno per erogare potenza alle ruote e l’altro per i sistemi ausiliari (sviluppati in collaborazione con Magneti Marelli) – e da un pacco batterie alloggiato nel pianale, le cui celle sono assemblate nel reparto della Scuderia Ferrari dove veniva realizzato il KERS impiegato sulla monoposto dell’epoca, ovvero la F138. L’esperienza maturata dalla Scuderia ha consentito anche in questo caso di contenere masse e dimensioni delle singole componenti: le batterie che pesavano infatti solamente 60 kg offrivano in quel momento la miglior densità di energia possibile per questo tipo di applicazioni. Queste venivano inoltre ricaricate in modi diversi: in fase di frenata (incluse quelle particolarmente intense tipiche dell’impiego in pista e in cui interviene l’ABS) e ogni volta che il motore termico produce coppia in eccesso, che invece di disperdersi viene recuperata, come nel caso di una percorrenza di una curva. Il motore elettrico trovava posto in coda al cambio F1 doppia frizione, così da contribuire all’ottimale distribuzione dei pesi, ma soprattutto a fornire un efficiente impiego dell’energia dal motore elettrico alle ruote quando scarica coppia e, viceversa, dalle ruote al motore, in fase di ricarica.
Tra design e aerodinamica: un masterpiece del Centro Stile Ferrari
Ma dicevamo prima: LaFerrari ti colpiva (e continua a farlo a 12 anni di distanza) dritta al cuore prima ancora di conoscerne numeri e prestazioni. Sì, perché questa incredibile hypercar era e rimane tutt’ora un incredibile capolavoro di design. Se non LA massima espressione, una delle massime espressioni della matita di Flavio Manzoni, il cui team lavorò a stretto contatto con gli ingegneri allo scopo di legare al meglio possibile forma e funzione, dando così alla luce una vettura dallo stile estremo e avveniristico ma che preservava in maniera decisa la tradizione del Marchio. Sotto tanti aspetti, si può dire che LaFerrari fosse in buona sostanza una iper-vitaminizzata 458 Italia (di cui potete leggere della nostra esperienza di guida a bordo di quest’ultima in pista a Monza QUI e di cui trovate una retrospettiva dedicata alla sua variante hardcore, la 458 Speciale, QUI), in quanto non solo ne esaltò all’ennesima potenza le forme (tant’è che proprio una 458 modificata – e recentemente messa in vendita insieme alle sue cover prototipali – venne usata come muletto per svilupparne il V12) ma anche la dinamica di guida. Chi ha avuto la fortuna di guidarla infatti, riferì a chi vi sta scrivendo di avere avuto la sensazione di avere a che fare con una sorta di ‘458 perfetta’. La vista laterale, in particolar modo, evidenziava a più non posso tutta la sua vocazione prestazionale: il muso fendente, un cofano anteriore molto basso che andava a esaltarne i passaruota muscolosi (un rimando alle forme prorompenti delle Ferrari Sport Prototipo di fine anni ’60) e un design sviluppato seguendo una linea unica. Tutti elementi che dialogavano in maniera perfetta con l’aerodinamica, che su quest’auto venne presa in estrema considerazione, consentendo una variazione di configurazione a seconda delle necessità. E quando la vettura venne sviluppata, l’obiettivo era decisamente ambizioso: ottenere l’efficienza aerodinamica più elevata mai vista su una Ferrari stradale. Al punto che venne raggiunto un coefficiente che sfiorava lo straordinario valore di 3 grazie a soluzioni tecniche studiate con il CFD e provate in galleria del vento. E a concorrere nel raggiungimento di questo incredibile risultato troviamo degli elementi aerodinamici attivi anteriori (profili dei diffusori e portella sul fondo) e posteriori (profili dei diffusori e spoiler retrattile) che si muovono automaticamente in base ai numerosi parametri monitorati in tempo reale, generando il carico necessario senza compromettere la resistenza complessiva della vettura e garantendo la configurazione più adatta alle diverse condizioni di marcia. E per comprendere appieno tutta la profonda genialità di questa macchina è necessario analizzare anche la sua architettura, che rappresentò la prima vera sfida da affrontare nello sviluppo de LaFerrari in fase di impostazione di progetto. Gli ingegneri si posero infatti come target quello di ottenere una distribuzione ottimale dei pesi (59% sul posteriore e il restante 41% sull’anteriore) ed al contempo avere un passo contenuto a fronte degli ingombri dati dai moduli elettrici. Pertanto tutte le masse sono state collocate tra i due assi e il più possibile vicino al pianale in modo da abbassare il baricentro (che scese di ben 35 mm rispetto alla Enzo) allo scopo di restituire dinamicità e maneggevolezza. E a raggiungere tal fine contribuisce anche il layout interno: a bordo troviamo infatti un sedile fisso conformato intorno al guidatore (soluzione ripresa sulla F80), che può invece regolare la pedaliera e il volante (quest’ultimo portò al debutto un disegno fortemente innovativo, con i comandi integrati e le leve cambio fissate al piantone in modo da essere facilmente nell’arco di tutta la corsa, mentre il caratteristico ‘bridge’ che ospita le altre funzioni legate al cambio F1 prende qui la forma di un’ala sospesa) per la miglior posizione di guida possibile: un risultato ottenuto grazie anche al coinvolgimento di Fernando Alonso e Felipe Massa che contribuirono attivamente a tutto il processo di sviluppo della vettura. Il telaio inoltre mutuava le stesse quattro differenti tipologie di compositi impiegate in Formula 1, seguendo identiche metodologie di progettazione, e venne realizzato nelle stesse aree produttive. Ciò permise di ottimizzarne il design, integrando le diverse funzioni (come i sedili e il vano batterie) per ottenere la migliore rigidità torsionale (+27%) e flessionale (+22%) possibile e contenere al tempo stesso le masse.

La potenza è nulla senza controllo
E, come inevitabile su ogni vettura moderna, anche LaFerrari riservò particolare attenzione alla piattaforma elettronica e ai sistemi di controllo: aerodinamica attiva e sistema ibrido vennero quindi integrati con gli altri sistemi di controllo dinamico. Gli algoritmi permettono un’integrazione tra motore elettrico e termico allo scopo di restituire la miglior dinamicità possibile: in curva, ad esempio, il sistema HY-KERS mantiene alti i giri del 12 cilindri per una risposta rapida in uscita. Inoltre a contribuire nella resa della vettura troviamo l’impianto frenante, che qua non era preposto solo a tenere a bada l’esuberante 12 cilindri di Maranello, ma veniva sfruttato come elemento per il recupero energetico. Il sistema – ovviamente progettato dalla Brembo – presentava diverse novità: dalle pinze di nuovo design e più leggere (progettate specificamente per garantire il corretto raffreddamento) ai dischi carbo-ceramici di nuova composizione. L’impianto era visibile alle spalle dei cerchi da 19” all’anteriore (che calzavano coperture nelle misure 265/30) e da 20” al posteriore (che calzavano coperture nelle misure345/30) e gommati di primo equipaggiamento con coperture Pirelli Pzero.
Parigi 2016: LaFerrari Aperta per festeggiare i 70 anni del Cavallino
E visto il successo della coupé, non poteva mancare poi in listino una versione roadster. Pertanto a tre anni di distanza, in data 29 settembre 2016, debuttò in società al Salone dell’Automobile di Parigi (il Mondial de l’Auto) LaFerrari Aperta, che omaggiava i 70 anni della Casa di Maranello e che portò l’emozione della guida della Rossa più esclusiva ed estrema mai creata fino a quel momento nella guida en plein air. Essenzialmente la versione Aperta riprendeva tutti gli stilemi già visti sulla coupé, tra cui le forme plastiche e prorompenti delle Ferrari Sport Prototipo di fine anni ‘60, quali ad esempio la 330 P4 (anch’essa costruita sia in versione coupé e aperta), introducendo però il tetto amovibile proposto in due soluzioni: hard top in fibra di carbonio (optional) e soft top. Il tutto completato da una livrea specifica molto discreta che andava ad enfatizzare – mediante cromatismi a contrasto – alcune delle linee principali della carrozzeria. Una soluzione adottata anche all’interno, dove si trovavano dettagli in tono con la livrea e nuove sellature per i sedili che abbinavano la pelle all’Alcantara Starlite. Per il resto LaFerrari Aperta godeva delle stesse caratteristiche meccaniche e prestazionali della sorella a tetto chiuso, sulle quali svetta il propulsore termico V12 da 6.262 cm3 da 800 CV (con una potenza specifica 128 CV/l e un rapporto di compressione di 13,5:1), accoppiato a un motore elettrico da 120 kW, per una potenza totale di 963 CV. L’esperienza maturata permise però di ottimizzare il software di controllo del powertrain in termini di efficienza complessiva. Identici anche i sistemi di controllo di dinamica integrati con l’aerodinamica attiva. LaFerrari Aperta raggiungeva inoltre la stessa velocità massima di oltre 350 km/h della coupé, accelerava da 0 a 100 km/h in meno di 3 secondi; da 0 a 200 km/h in 7.1 secondi e preservava le stesse caratteristiche di rigidità torsionale e flessionale e le stesse prestazioni dinamiche. Le modifiche apportate al sistema aerodinamico consentirono inoltre, a finestrini alzati, di non avere penalizzazioni in termini di resistenza a tetto aperto rispetto alla coupé. Come logico attendersi, venne riservata molta attenzione alla guida all’aria aperta, pertanto venne qui introdotto un sofisticato sistema di wind-stop, ideato per migliorare il comfort aerodinamico e acustico allo scopo di promettere anche una buona capacità di conversazione in abitacolo a tetto aperto anche a velocità elevate. Allo scopo di restituire caratteristiche meccaniche e prestazionali paragonabili a quelli della sorella a tetto chiuso, gli ingegneri di Maranello sono intervenuti essenzialmente su due aree: telaio e aerodinamica. Nel caso del primo l’attenzione si è concentrata principalmente sulla parte inferiore della vettura, necessariamente rinforzata perché sottoposta alle sollecitazioni delle linee di forza che, nella versione coupé, vengono confluite nella parte superiore.
Comfort in abitacolo anche en plein air: la sfida de LaFerrari Aperta
L’eliminazione del tetto ha reso inoltre necessaria una rivisitazione del sistema di rotazione delle porte che, in apertura, qua presenta un angolo a termine corsa leggermente diverso rispetto alla versione coupé. La variazione d’angolo delle cerniere delle porte, che mantengono l’apertura “a farfalla”, dovuta ad aspetti connessi alla sicurezza del tetto aperto, ha portato ad alcune variazioni sulle geometrie del parafango e del fianco. In particolare l’inserto in carbonio, che integra uno sfogo aerodinamico, si è reso necessario per consentire la rotazione della porta. Il secondo aspetto mirava invece – sopra ogni cosa – a preservare la stessa resistenza aerodinamica della versione a tetto rigido. Pertanto, allo scopo di gestire il flusso d’aria calda in uscita dal cofano anteriore proveniente dai radiatori, i progettisti del Cavallino sono intervenuti variandone l’angolo: se sulla versione coupé i radiatori sono inclinati per un’evacuazione dell’aria che lambisce il cofano, nella versione Aperta le masse radianti sono state inclinate indietro, portando l’evacuazione dei flussi caldi sul fondo. Questa soluzione ha permesso la separazione dei flussi caldi da quelli che interessano l’abitacolo, promettendo quindi il comfort termico necessario agli occupanti. La nuova disposizione delle masse radianti ha comportato la necessità di ricavare un condotto in grado di convogliare verso il cofano l’aria in uscita dalla porzione superiore della bocca centrale: una soluzione che consente di generare carico aerodinamico grazie alla variazione di quantità del moto del flusso che investe la vettura. Inoltre, la deviazione del flusso d’aria calda sul fondo ha comportato una rivisitazione dei generatori di vortici: il dam anteriore è stato esteso, mentre si è abbassata la superficie del fondo nella zona dei generatori di vortici longitudinali, con l’obiettivo di incrementarne l’effetto suolo e, quindi, la capacità di generare carico efficiente. Completano il pacchetto aerodinamico due piccoli flap ad L sugli spigoli superiori del parabrezza che hanno lo scopo, in assenza di hard top, di creare una vorticità coerente che interagisce con il flusso diretto verso la traversa posteriore sollevandolo, in modo da ridurre le compressioni nella parte posteriore dell’abitacolo riducendone la resistenza. Questo sistema permette di non avere penalizzazioni in termini di resistenza a tetto aperto. Come precisato poc’anzi, al centro delle attenzioni vi è stato il comfort aerodinamico a tetto aperto. E per centrare questo obiettivo è stato sviluppato un sistema integrato innovativo: il flusso ad alta velocità che tende ad entrare in abitacolo dalla parte superiore del parabrezza viene catturato dal wind-stop inclinato fissato sulla cappelliera. Grazie alla sua inclinazione, il flusso viene incanalato attraverso delle intercapedini nella struttura interna della vettura, attraverso un passaggio ricavato nella cappelliera nella parte laterale che viene poi rilasciato, a minor velocità, dietro ai sedili dei passeggeri. Si è così ottenuto un livello comfort in linea con le altre vetture scoperte della gamma provviste di wind-stop regolabile senza incrementare la resistenza aerodinamica.

Termodinamica: dura lex, sed lex.
Ovviamente, come su ogni Ferrari che si rispetti, non è mancata l’attenzione al comparto tecnico che rappresenta il vero cuore della macchia, ovvero il motopropulsore. Il motore è lo stesso della versione a tetto chiuso e con tecnologia ibrida e combina un V12 termico da 800 CV con un elettrico da 163 CV, per una potenza complessiva di 963 CV. Il motore elettrico principale è accoppiato in coda al cambio a doppia frizione ed è stato realizzato con la tecnologia “High Specific Power Density”, che consente di contenere i valori di peso e volume, in rapporto alla coppia disponibile. Il risultato ha portato a prestazioni paragonabili alla F1, con la stessa densità di coppia e la medesima efficienza (94%), cioè limitatissima dissipazione di potenza. Le batterie sono costituite da 120 celle unite in 8 moduli – con una potenza equivalente a 40 batterie tradizionali in soli 60 kg di peso – e vengono ricaricate in diversi modi: durante le frenate e ogni volta che il motore termico produce coppia in eccesso, come ad esempio durante la percorrenza di una curva. Il cervello del sistema HY-KERS è l’Hybrid Pow1er Unit, che gestisce la potenza erogata dal V12 e dal motore elettrico attraverso due inverter e due convertitori DC-DC. Il controllo dei motori elettrici a frequenza variabile è stato pensato per promettere di erogare la coppia con rapidità e precisione. È inoltre presente un motore elettrico ausiliario che sostituisce l’alternatore tradizionale, risparmiando in questo modo peso e contenendo i volumi. Per aumentare l’efficienza volumetrica del 12 cilindri a V da 6.262 cc sono stati impiegati i condotti di aspirazione a lunghezza variabile – tecnologia per lungo tempo caratteristica dei motori da F1 finché il regolamento non ne ha proibito l’uso – che ottimizzano le prestazioni in funzione del regime di rotazione. Allo stesso modo coppia e curva di potenza sono ottimizzate a tutti i regimi. La coppia totale generata dalla propulsione ibrida è 900 Nm: quella istantanea del motore elettrico è impiegata in particolare ai regimi più bassi, mentre potenza e coppia del V12 sono ottimizzate a quelli più alti. La coppia massima del V12, 700 Nm, è infatti sviluppata a 6.750 giri al minuto. Inoltre il sistema di aspirazione – dalle prese d’aria dinamiche sulla parte superiore dei passaruota posteriori al polmone d’aspirazione – è stato progettato per ottenere una migliore fluidodinamica interna. A completare la dotazione tecnica troviamo un impianto di scarico ’6 in 1′ idroformato in Inconel (lega utilizzata sia in F1 che nel settore aerospaziale).
Produzione, tributi, clienti VIP e beneficienza
Il resto, come si suol dire, è storia: LaFerrari, in configurazione coupé venne prodotta in un totale di 499 unità (e all’istante dell’annuncio il Cavallino ricevette più del doppio delle richieste) ed è oggi una delle Rossei (nonché delle auto in generale) più ambite dai collezionisti (il suo valore attualmente oscilla tra i 3 e i quasi 10 milioni di euro) e tantissimi sono i nomi celebri che se la sono portata in garage di corsa all’istante del suo lancio e che la possiedono o l’hanno posseduta. Tra i casi più celebri troviamo Jay Kay (leader dei Jamiroquai), che optò per una colorazione in Green Signal (unico esemplare al mondo); lo chef Gordon Ramsey, il Team Principal della Mercedes-AMG in F1, Toto Wolff, il driver di F1 Lewis Hamilton, lo stilista Ralph Lauren e il Patron dell’Aston Martin in F1, Lawrence Stroll. E questi sono solo alcuni dei casi più noti. Visto inoltre che si tratta di uno dei modelli più desiderati e quotati mai prodotti a Maranello, LaFerrari fu anche protagonista di ben due aste di beneficienza: un esemplare coupé venne battuto a ben 7 milioni di dollari (una vettura costruita appositamente a tal scopo, dato che si trattava dell’esemplare numero 500 e di cui vi parliamo QUI) per aiutare i terremotati italiani, mentre l’ultimo esemplare (la numero 210, in quanto la produzione schedulata era di 209 unità) de LaFerrari Aperta (anche qui realizzato appositamente a scopo benefico) venne venduto a circa 3/4 milioni di euro in favore di Save The Children (come vi raccontammo QUI). Questa hypercar divenne inoltre talmente iconica che anche la Maison d’alta orologeria Hublot decise di realizzare un segnatempo ad essa dedicato, con un meccanismo che replicava perfettamente il 12 cilindri visibile attraverso il plexiglass della Rossa di Maranello, ovvero l’MP-05 LaFerrari Sapphire. Insomma: che sia a tetto chiuso o aperto, LaFerrari è ancora oggi una delle hypercar più ambite dai collezionisti di tutto il Globo, nonché una delle vetture più amate di sempre dagli appassionati e una della quattro ruote più belle di tutti i tempi. E forse, a parere di chi vi scrive, la Rossa più bella mai uscita dal numero 10 di via Abetone Inferiore. E se tra voi che ci leggete c’è qualcuno che ha la fortuna di averla in garage, bhé, tenetevela stretta, perché avete indubbiamente in casa una delle vetture più leggendarie, belle e iconiche mai prodotte!



































