MV Agusta Brutale 910: quando la bella divenne (anche) bestia
Nel 2005 la Casa di Schiranna diede alla luce una moto che decretò nuove regole in un mercato che fece invecchiare lei stessa appena 4 anni prima. La naked varesina, con il passaggio da 750 a 910, divenne il vero oggetto del desiderio dei motociclisti dell’epoca (e uno di quelli dei collezionisti ora). Questa è la storia della MV Agusta Brutale 910
Correva l’anno 2005. Il Principe Alberto assume la reggenza del Principato di Monaco, nella Città del Vaticano si spegne Giovanni Paolo II a cui succederà Benedetto XVI, il Principe Carlo convola a nozze con Camilla Parker-Bowles, il Partito Laburista di Tony Blair vince le elezioni in Regno Unito, la sonda europea Huygens atterra su Titano, l’Airbus A380 decolla per la prima volta da Tolosa e la Casa di Schiranna presenta al mondo la MV Agusta Brutale 910S.

Lo stile di Massimo Tamburini: una garanzia!
Le sue linee conservano tutti gli stilemi introdotti dalla 750 nel 2001 e sono quelle immortali disegnate dalla matita di Massimo Tamburini (già “papà” della F4 e della 916, tanto per citare due delle sue più famose creazioni): mai banali, mai scontate. Ogni dettaglio di questa moto potrebbe tranquillamente trasformarsi in una tesi di laurea in Design Industriale. Dal suo faro oblungo derivato da quello di una Porsche 911 (la sua genesi la si deve a quando Claudio Castiglioni si trovò proprio la supercar della Casa di Zuffenhausen nei retrovisori in strada, decidendo così che la prima naked della MV Agusta avrebbe dovuto avere quel faro), alla cover della strumentazione – quest’ultima mutuata direttamente dalla F4 – con incavi e giochi di volumi, al codino “a piattello” sparato all’insù con doppio faro di coda e volumetrie contrastanti, passando per il serbatoio “alato” con prese d’aria integrate e per il doppio scarico sovrapposto “a canne mozze” sul lato destro della moto, nonché per i cerchi a stella a cinque razze e per l’immancabile monobraccio in lega d’alluminio. Insomma: ogni elemento di questa moto fu pensato per rivoluzionare completamente il concetto di moto naked, che nacque come semplice ed essenziale con la Ducati Monster M900, per elevare invece questo concept nell’esatta direzione opposta, ovvero quella della ricercatezza, della raffinatezza e dell’assoluta bellezza stilistica. E la Brutale centrò appieno questo obiettivo: all’istante del suo debutto fece infatti invecchiare di colpo qualsiasi altra moto nuda esistente sul mercato in quegli anni con uno stile quasi sovradisegnato, per divenire immediatamente il nuovo oggetto del desiderio di ogni motociclista.
Un’iniezione di sani cc per fare la differenza
La Brutale 750 mutuava la dotazione tecnica dalla F4 750: dal motore (ricalibrato per far fronte alla guida senza carene e con triangolazione di guida più aperta e rialzata) alla ciclistica (che trova i suoi capisaldi nella forcella Marzocchi a steli rovesciati da 50 mm e nel monoammortizzatore Sachs al posteriore; tutti ovviamente pluriregolabili), passando per l’impianto frenante (assiale Nissin a 6 pistoncini sviluppato appositamente per la F4 – da cui prendeva la nomenclatura Nissin F4 appunto – con pompe freno e frizione assiali e con dischi anteriori da 310 mm di diametro). Ma la 750 – seppur bellissima e pregiata – aveva un difetto, riconosciuto da tutti: era vuota ai bassi regimi. Così, a 4 anni di distanza dal lancio della naked “più bella del reame”, MV Agusta decise di risolvere questo problema nella maniera più semplice ed efficace possibile: con una bella iniezione di sani cc. E tanto bastò per far passare la nuda varesina da “bella senz’anima” a top model con cuore a non finire. La cura adottata per la Brutale funzionò alla grande. Se la 750 mancava di prontezza di risposta al gas, la 910 ti strappava le braccia con una guida funambolica e un’erogazione piena (ma con un on-off da imparare a gestire), sostanziosa e pronta fin da subito. Insomma: stavolta la sostanza c’era eccome. Pure troppa. La MV Agusta Brutale 910S non era affatto una moto per tutti. E non parliamo certamente solo del prezzo (all’epoca servivano quasi 16.000 euro per mettersela in garage). Alla guida la 910 richiedeva dei motociclisti esperti o quantomeno ben rodati. Non era una moto per deboli di cuore questa e richiedeva al pilota ottimi riflessi e capacità di gestire bene l’erogazione. Pena: ritrovarsi la moto per cappello. Ricordiamoci che all’epoca l’unico controllo preposto alla gestione della moto era uno solo: traction control? Nahhh! Piattaforme inerziali a 6 assi? Macché! Mappature di gestione motore? Cosa sono? Anti-impennamento? ABS Cornering? Ma figuriamoci! Nossignore: era tutto adibito al polso destro del suo rider!

Silenzio. Parlano i numeri
Questo insomma l’unico e solo fattore che permetteva di gestire la “maggiorata” Brutale: quello umano. E se vista da fuori la 910 poteva sembrare identica alla 750… bhé la realtà era tutta un’altra cosa. E partiamo dai numeri (che non mentono mai) per capirlo: un peso a secco di 185 kg veniva mosso da un propulsore da 909 cc (sempre con architettura 4 cilindri in linea, con valvole radiali, cambio a 6 marce, raffreddato a liquido e con doppio radiatore per l’acqua e per l’olio) capace ora di 139 CV a 11.000 giri/min (contro i 127 a 12.500 giri della 750) e di 96 Nm a 8.000 giri/min (contro i 77 Nm erogati a 10.500 giri della 750). Insomma: bastano tali valori per capire che la 910 suonava proprio tutta un’altra musica rispetto alla “sorella minore”. Il rinnovato cuore veniva orgogliosamente messo alla vista (sempre con grande pulizia estetica priva di cablaggi visibilmente vistosi) da un telaio tubolare a traliccio in CrMo commisto con elementi finali in lega d’alluminio, mentre il pilota aveva a disposizione una strumentazione che combinava un quadro digitale a un indicatore analogico (quello del contagiri) e che manteneva informati su velocità, km percorsi (parziali e totali), temperatura del liquido di raffreddamento, ora, spia della riserva, fanaleria e – ovviamente – giri motore. Nulla più. Il tutto a sposarsi con una triangolazione di guida vocata più alla sportività che al comfort, con pedane alte e arretrate e un manubrio largo e alto (ma non troppo!) ed una sella molto minimal e rigida (e anche abbastanza alta da terra –per una naked dell’epoca – con i suoi 805 mm). E grazie ad un interasse corto (le quote mettevano sul piatto 2.020 mm di lunghezza e 760 mm di larghezza) era fulminea nei cambi di direzione. Agilissima e potentissima invitava a divertirsi abbondantemente (con una sana dose di teppismo) su strade di lago e di montagna e l’anteriore diveniva leggero ogni due per tre. Ma quando era a terra restituiva un senso granitico e di precisione chirurgica che nessun’altra naked sapeva restituire all’epoca (e forse fa ancora fatica ad essere pareggiata tutt’ora a 20 anni di distanza). Anche grazie ad una taratura delle sospensioni decisamente rigida e sportiva per una nuda.
Una scultura sul cavalletto. Un oggetto da collezione in garage!
I suoi specchietti retrovisori filanti e a goccia erano a loro volta un incredibile oggetto di design che contribuivano nell’immagine slanciata della moto. Che diveniva una vera e propria scultura una volta ferma sul cavalletto e che era impossibile da non mirare e rimirare in continuazione. Gli occhi addosso – di tutti – con lei, erano garantiti. E lo rimangono a distanza di (oltre) due decenni. Non proprio cosa comune. Ma se pensate che MV Agusta si accontentò di quanto detto finora la risposta è no. A un anno di distanza dalla 910S, nel 2006, la Casa di Schiranna decise di affilare ulteriormente gli artigli della Brutale presentando la 910R, che guadagnò la forcella Marzocchi con steli trattati al nitruro di titanio, i cerchi a cinque razze ad Y (stavolta griffati Marchesini), i freni Brembo radiali con dischi da 320 mm all’anteriore e la testata motore dipinta in rosso (con propulsore che si impreziosì dei condotti lucidati a mano e di scarico racing con Eprom dedicata). Il tutto a rendere l’elegantissima e sportivissima nuda di Schiranna ora più vocata all’aggressività, anche grazie a delle colorazioni dedicate. Non mancarono ovviamente le serie speciali in edizione limitata a venire, tra cui impossibile non ricordare edizioni come “Starfighter”; “Gladio”; “Wally”; “Hydrogen” e “Italia”, ognuna di queste volta a celebrare qualcosa di molto preciso tra aerei, yacht, marchi di moda, spade leggendarie e successi sportivi. Tutte ancora ambitissime dai collezionisti, specie se con relativo certificato d’autenticità al seguito. Il culmine di questa serie della Brutale arrivò poi nel 2009 con la 1078RR (passando prima per la 989 nel 2007), che estremizzò ulteriormente la vocazione sportiva di questa incredibile e funambolica moto: il motore da 1.078,37 cc di derivazione F4 1078 sviluppava qui 154 CV a 10.700 giri/min e 117 Nm di coppia a 8.100 giri/min. Numeri che si traducevano in un vero mare in burrasca alla guida. Insomma, se rientrate tra coloro che si sono messi in garage un 910S, una 910R o una 1070RR, o – meglio ancora – una serie speciale, bhé, tenetevela stretta perché in garage avete un vero e proprio pezzo da collezione che ha indubbiamente segnato una delle pagine più belle del motociclismo moderno, oltre ad un oggetto che sta risalendo di gran carriera le sue quotazioni nell’usato e che può di diritto definirsi ambitissimo dai collezionisti. Lunga vita alla Brutale!