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Bugatti Veyron. Il mito della velocità

Facciamo un tuffo nella storia delle auto ad alte prestazioni con una restrospettiva dedicata ad una delle vetture più folli di sempre: la Bugatti Veyron. Scopriamo insieme storia, aneddoti e curiosità su una delle vetture da collezione più performanti di tutti i tempi

Cos’è la velocità? Se ponessimo questa domanda a più persone, sicuramente ciascuna risponderebbe in modo diverso, definendo la velocità attraverso la rappresentazione di un’auto da corsa, un jet, un motoscafo e tanto altro; sarebbe infatti difficile trovare una posizione condivisa, poiché non esiste una definizione unica del termine. Ma una cosa è certa, c’è una vettura che detiene il primato di essere stata l’auto di serie più veloce mai costruita e ha un nome che è tutta un’emozione: Bugatti Veyron.

La storia della Bugatti è stata caratterizzata da periodi di difficoltà, rischiando più volte di cadere nel baratro del fallimento. Ma così come una fenice risorge dalle sue ceneri, con la Veyron il marchio ha riportato in vita lo spirito del suo fondatore, l’italianissimo Ettore Bugatti, in una reinterpretazione in chiave moderna dei suoi valori storici: costruire macchine bellissime e performanti, spingendosi sempre oltre il limite.

LA GENESI

Ricorrono quest’anno i tre lustri dall’inizio della produzione della Veyron, ma questa macchina ha una storia che inizia nel lontano 1997, ed è una di quelle storie in cui un sogno si trasforma in realtà grazie alla determinazione dei personaggi che ne fanno parte. Il personaggio “eroe” di questa storia è Ferdinand Karl Piëch, nipote di Ferdinand Porsche e brillante ingegnere a capo del Gruppo Volkswagen per molti anni, il quale da tempo cullava una meravigliosa idea, decisamente fuori dagli schemi e mai tentata in precedenza. Storie narrano che fu mentre viaggiava su un treno da Tokyo a Nagoya che Piëch diede forma, su una comune busta di carta, all’idea di un motore 18 cilindri, rivoluzione in ambito ingegneristico su cui costruire intorno una vettura unica. Piëch era consapevole che un progetto così straordinario non sarebbe potuto nascere se non sotto il vessillo di un marchio speciale, che racchiudesse in poche lettere la pura esaltazione di lusso e performance. Questa ricerca si concluse, per un puro caso, quando suo figlio gli chiese in dono una Bugatti Type 57 SC Atlantic, ed è in quel momento che l’Ingegnere ebbe l’illuminazione, definita da lui stesso nel suo libro “colpo fortunato del destino”. Rimase colpito dall’auto e ne acquistò subito un’altra, chiedendo al board di Volkswagen di sondare la possibilità di acquisire i diritti del marchio.

Fino a quel momento, la Bugatti aveva vissuto una nuova e fiorente parentesi italiana durante la quale, sotto l’egida di Romano Artioli, nel 1991, era nata una tra le auto più belle del mondo, la mitica EB 110. Tuttavia, a causa della profonda crisi che imperversava nel settore dell’auto di lusso, l’azienda era nuovamente sull’orlo del fallimento e così, dopo una brevissima trattativa, passò nelle mani del management tedesco, che decise altresì di chiudere la fabbrica di Campogalliano e riportare la produzione nella sede originale di Molsheim, in Alsazia.

Il sogno mecenatesco di Ferdinand Piëch era quello di far risorgere la Bugatti degli anni ’20 e ‘30, decennio caratterizzato da solenni vittorie e memorabili successi. Ora Piëch aveva la sua idea rivoluzionaria ed il nome da apporre sul motore, un vessillo importante in cui già il fondatore aveva riposto grande aspettativa, affermando che “se [un ‘auto] è paragonabile a qualcos’altro, non è una Bugatti”.

A questa idea meramente tecnica serviva un abito all’altezza e fu così che Piëch si rivolse all’amico Giorgetto Giugiaro, storica matita di Italdesign, cui affidò l’arduo compito di sposare meccanica ed eleganza: fin da subito l’intenzione di Giugiaro non fu quella di creare un’auto dallo stile retrò, bensì interpretare e rinnovare la concezione del design di Jean Bugatti, figlio di Ettore: vedendo quella che sarebbe diventata in pochi anni la versione definitiva della Veyron, si può dire che ci sia riuscito.

DAL PRIMO PROTOTIPO ALLA REALTÀ

Il primo prototipo venne prodotto in pochissimo tempo e presentato con il nome di EB 118, con un evidente richiamo ai 18 cilindri dell’ambizioso progetto. La versione coupé con il motore anteriore da 6,25 litri rubò la scena del Paris Motor Show nel 1998, conquistando il consenso di tutto il settore automotive. L’evoluzione proseguì a ritmi serrati con diversi concept, tra cui anche una versione a quattro porte, dove il lusso venne esaltato a livelli inimmaginabili. È nel 1999 a Francoforte che, con la EB 18/3 Chiron, viene superato il concetto di berlina di lusso concentrando il focus verso quello di auto super sportiva e delineando, con il successivo modello EB 18/4 Veyron, quegli elementi di stile che avrebbero caratterizzato il design definitivo. È in questa occasione che viene utilizzato per la prima volta il nome Veyron, quale tributo al pilota Pierre Veyron che, nel 1939, aveva vinto la 24 ore di Le Mans su una Bugatti Type 57.

Nel 2000, al Salone di Ginevra, Ferdinand Piëch annuncia ad una platea incredula l’intenzione di realizzare una vettura da 1001 cavalli di potenza, 400 km/h di velocità e con una accelerazione da zero a cento in meno di 3 secondi, travolgente ma allo stesso tempo comoda e lussuosa. La promessa fu onorata e solo qualche mese dopo, a Parigi, la Veyron 16.4 venne svelata al mondo. Sarebbero serviti ulteriori sei anni di sviluppo per l’avvio della produzione tra ritardi, modifiche tecniche essenziali e piccoli accorgimenti nel design, ma le caratteristiche erano state ormai palesate, con dati tecnici da far emozionare anche i meno appassionati.

Già nel nome si ravvisava un cambiamento sostanziale, il numero 16 sostituisce il 18, essendo stato preferito lo sviluppo di un più “compatto” 16 cilindri rispetto ai 18 del progetto iniziale. Per dar vita a questo capolavoro vennero uniti due motori 8 cilindri a V, installati con un angolo di 90° tra loro ed un angolo di 15° tra i cilindri di ciascun motore, assumendo una configurazione a “W”, da cui la nomenclatura del motore W16. Questa creatura da 7900cm3 e 1001 cavalli di potenza è composta da tremilacinquecento parti, quasi il doppio di una comune auto compatta, con tempi di assemblaggio di una settimana, rigorosamente a mano. Una combinazione di dati vincente che avrebbe permesso alla Veyron di compiere lo sprint da 0 a 200km/h in soli 7,3 secondi. Tuttavia, l’obiettivo attorno al quale venne progettata l’auto era un altro, raggiungere e superare la velocità di 406 km/h. Il perché di questo numero si può comprendere raccontando un aneddoto della carriera dello stesso Mr. Piëch il quale, durante la sua esperienza in Porsche, aveva contribuito allo sviluppo della leggendaria Porsche 917 negli anni ’60, vettura che aveva vinto la 24 Ore di Le Mans riuscendo a toccare proprio la velocità di 406 km/h. Piëch aveva quindi un obiettivo, battere le sue precedenti vetture e riuscire così a dimostrare al mondo intero che Volkswagen fosse in grado di creare qualcosa di unico, senza l’aiuto di Porsche. Incredibilmente egli riuscì anche in questa sfida il 19 aprile 2005 quando, durante i test ufficiali sul circuito tedesco di Ehra-Lessien, di proprietà della Volkswagen, la Veyron raggiunse i 408,47 km/h sul lungo rettilineo di 9 km. Nell’ottobre dello stesso anno, il test venne ripetuto, ma questa volta alla guida c’era James May, famosissimo presentatore del programma televisivo “Top Gear”; in quel caso il tachimetro si fermò a “soli” 407,5 km/h.

Questo record verrà superato ancora nel 2010 con la versione 16.4 Super Sport, la più potente Veyron mai prodotta e limitata a soli 30 esemplari. La potenza del motore venne aumentata a 1200cv con un pacchetto aerodinamico ancora più spinto, consentendo alla vettura di raggiungere la velocità di 431,072 km/h.

UN AGOGNATO SUCCESSO

Benché la determinazione e le aspettative del Management alla guida di Bugatti fossero altissime, la progettazione e la produzione della Veyron incontrarono numerose sfide, tutte superate grazie al magistrale lavoro di esperti del mondo automobilistico ma anche di quello aeronautico, in una sinergia senza precedenti. Tra queste sfide, la più avvincente riguardò i problemi di gestione del sistema di raffreddamento del potente W16. Per fare un esempio basti pensare che, durante il primo test del motore, si sviluppò così tanto calore che l’intero edificio quasi andò in fiamme. La gestione della temperatura all’interno del motore, in considerazione delle altissime prestazioni dell’auto era molto delicata, tanto da rendere necessaria la predisposizione di ampie prese laterali adatte a convogliare aria a ben dieci radiatori, senza però compromettere il design dell’auto.

Un’auto così speciale non poteva che avere degli pneumatici altrettanto speciali e, per tale ragione, Bugatti avviò una collaborazione con Michelin per quella che fu ancora una volta un’impresa senza precedenti. Questi pneumatici, assemblati a mano, consentono all’auto di raggiungere la velocità di punta senza la necessità di dover montare specifici pneumatici da competizione. In fase di sviluppo, per simulare le alte velocità toccate dalla Veyron, venne utilizzato un macchinario usato per simulare lo stress a cui erano sottoposte le ruote dei carrelli degli aerei, un sistema all’epoca non ancora utilizzato nel settore automotive. I dischi dei freni sono in carbonio, ceramica e titanio, lavorando a temperature che superano i 980°. Pur essendo molto potenti, non avrebbero potuto garantire alla Veyron di frenare in sicurezza. Serviva infatti qualcosa a livello strutturale, che funzionasse con lo stesso principio dei deflettori posizionati sulle ali di un aereo. Questo compito sarebbe stato assolto dall’alettone posteriore che, esteso, garantiva quasi un terzo della potenza frenante. Volete un dato shock? La forza frenante complessiva è quasi il doppio della forza di gravità. La Veyron impiega infatti meno di 10 secondi per passare dalla velocità di 407 a 0 km/h.

STILE ED EMOZIONI

Il design della Veyron richiama con eleganza i tratti dello stile Bugatti. Vista di lato, il disegno richiama la tipica firma del Marchio, mentre la griglia anteriore dalla forma a ferro di cavallo, dove spicca il logo, rappresenta l’elemento di continuità tra i modelli della precedente generazione e quelli moderni. Sul posteriore svetta al centro tra le due coppie di fari a forma circolare la sigla EB, le iniziali di Ettore Bugatti. Anche gli interni sono meravigliosi, con spazi ampi e rifiniti con l’utilizzo di alluminio e pelle. Il volante è un pezzo d’arte, la consolle avvolge il guidatore ed il passeggero in una travolgente esperienza da brividi.

Vista da ferma la Bugatti Veyron ha uno sguardo da gigante buono, che potrebbe trarre in inganno chiunque, fino a quando non si apre la portiera e ci si immerge nell’abitacolo, che ricorda quello di una moderna navicella spaziale, e si allacciano le cinture. Tutto è pronto per il lancio. Così come un rapace adatta il suo profilo alare alle condizioni di volo, l’aerodinamica della Veyron è attiva e si modifica superati i 220 km/h. A questa velocità l’assetto cambia, l’auto si abbassa, mentre lo spoiler posteriore si alza per aumentare la tenuta di strada. Nella configurazione “standard” può toccare una velocità di soli 375 km/h. Se invece voleste raggiungere la velocità di punta dovreste ricordarvi di inserire, ad auto ferma, una seconda chiave, di colore rosso, nell’apposito slot posizionato alla sinistra del guidatore, proprio come una chiave per il lancio di missili, dato che in fondo parliamo di vero un missile terra-terra. A quel punto, non vi sarebbe alcun limite tra voi e i 400km/h, lo spoiler posteriore riduce al minimo l’angolo di incidenza rientrando nel suo alloggiamento, le prese d’aria anteriori si chiudono e l’auto si abbassa di ulteriori 6 cm, limitando così al minimo l’impatto aerodinamico ed il carico aerodinamico. Siete pronti all’esperienza più travolgente della vostra vita?

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