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Lamborghini Diablo. Toro indomabile [RETROSPETTIVA]

La Diablo è ancora oggi una delle auto più pazze di sempre, una delle poche a riuscire a far coesistere armonicamente linee spigolose e morbide. È lei la quintessenza delle supercar degli anni ‘90, uscita direttamente da un poster delle camerette di ragazzini, patiti e nostalgici

Nei nostri articoli vi abbiamo raccontato di vetture pazzesche, apparentemente equilibrate nelle forme ma poi rivelatesi  assai brutte su strada. Ecco, in questo caso non si baderà a descrivere tratti gentili di un’auto che non ha proprio interesse a passare come una dea gentile. E allora, allacciate le cinture e godiamoci una delle auto più belle di sempre, la Lamborghini Diablo.

Facciamo un salto indietro nel tempo al 1985 quando, con il nome in codice Project 132, una nuova creatura scalpitava tra le strade di Sant’Agata Bolognese. Dopo l’incredibile successo ottenuto con la Countach, non era facile plasmare una erede che fosse capace di confermare il prestigio raggiunto dal marchio e allo stesso tempo proiettarlo verso il futuro. Ad alimentare le aspettative vi era la nuova proprietà Chrysler, che voleva assolutamente una supercar capace di posizionarsi ai vertici del panorama automobilistico del tempo. Il disegno della Diablo venne inizialmente affidato alla matita di Gandini, padre della Miura e della Countach anche se, dopo l’acquisto da parte di Chrysler il modello, giudicato troppo aggressivo, venne rivisto dai designer della Casa americana, che vollero dare forme più morbide alla versione finale. Il nome scelto confermava la tradizione Lamborghini di assegnare alle sue auto il nome di tori da combattimento. La Diablo prese infatti il nome da un feroce toro allevato dal Duca di Veragua nel 19° secolo, El Diablo, famoso per un epico combattimento tenutosi a Madrid nel 1869.

STILE E TECNICA

Il 21 gennaio del 1990 tutto è pronto all’Hotel de Paris di Monte Carlo per la presentazione della Diablo, in una atmosfera mistica e carica di aspettative. La Diablo è un’auto che istantaneamente seduce e lascia col fiato sospeso. È imponente, con ruote posteriori da 335 e scarichi puntati verso il cielo come cannoni pronti ad esplodere colpi di emozioni, mentre lateralmente è lunga e bassa, tanto bassa. Con il muso caricato in avanti è muscolosa e aggressiva proprio come un toro pronto ad attaccare. Risalendo il muso verso il parabrezza si delinea un arco perfetto che si estede fino alla coda, che lascia intendere che per salirci dentro ci si dovrà quasi inginocchiare in segno di devozione. La Diablo chiede rispetto da qualunque angolazione la si guardi, intimorisce ma attrae. Guardandola da dietro sembra costruita attorno al pilota, che all’interno siede su sedili scarni e senza particolari comfort. Basti pensare che all’inizio della produzione la dotazione di serie era ridotta all’essenziale e non vi era alcun ausilio alla guida, il che rendeva l’esperienza di guida dura e pura (quanto ci manca).

L’obiettivo affidato al progetto Diablo era semplice e chiaro: raggiungere una velocità massima di almeno 320 km/h. Per farlo, l’auto venne dotata dell’iconico motore V12 Lamborghini installato in posizione centrale longitudinale, con una capacità di 5.7 litri, quattro valvole per cilindro e iniezione elettronica multi punto. Dotata di cambio rigorosamente manuale a 5 rapporti, la potenza sviluppata era di 485 cavalli con trazione esclusivamente posteriore, consentendo alla vettura di coprire lo 0-100 km/h in circa 4.5 secondi. Il tutto si traduceva in una velocità di 325 km/h, la più alta fino ad allora registrata per una vettura di serie. Era prevedibile fin dai primi vagiti che anche la Diablo, così come era stato per la Countach, avrebbe conquistato il palato fine di appassionati e clienti, anche se ci vollero undici anni e numerosi aggiornamenti per arrivare a quello che sarebbe diventato un prodotto di livello eccellente.

Da un punto di vista della piattaforma, la Diablo era meramente un miglioramento della Countach, con telaio, carrozzeria in alluminio e layout della trasmissione che restavano sostanzialmente invariati. Le differenze erano evidenti invece nella lunghezza, larghezza e passo.

LE VERSIONI

Nel 1993, per rispondere alle crescenti aspettative dei clienti venne introdotta la Diablo VT, la cui sigla stava per “Viuscous Traction”, che presentava alcuni strumenti di ausilio alla guida nonché aggiornamenti nello stile ma, soprattutto, l’introduzione della trazione integrale, prima volta su una Lamborghini. Il sistema ad accoppiamento viscoso permetteva di trasferire il 25% della trazione alle ruote anteriori in caso di perdita di aderenza sul posteriore, cosa alquanto comune alla guida di questa belva. Altri miglioramenti includevano prese d’aria sotto i fari anteriori per migliorare il raffreddamento dei freni, prese d’aria più ampie nel posteriore e interni più ergonomici. Molti di questi sviluppi vennero portati anche sulla Diablo nella versione base, rendendo le due auto praticamente identiche. Nello stesso anno, Lamborghini presentò anche la SE30, dove SE stava per Special Edition, per festeggiare i 30 anni dell’azienda. Questa vettura era stata pensata per un uso esclusivo in pista e per questo era stata alleggerita di circa 125 kg, eliminando alcune dotazioni di serie e utilizzando materiali come fibra di carbonio e Alcantara, rimuovendo inoltre aria condizionata e impianto audio. Anche agli esterni venne utilizzata, in maniera preminente, la fibra di carbonio. Venne aggiunto uno spoiler posteriore regolabile e l’impianto dei freni maggiorato per garantire una frenata adeguata. Il 12 cilindri, migliorato e alleggerito, raggiunse i 525 CV a 7000 giri/min. Tutto ciò si traduceva in uno 0-100km/h in 4 secondi, con una velocità di punta di 331 km/h. Venne anche reso disponibile un kit chiamato “Jota” per consentirne la partecipazione ai Campionati GT.

La Diablo SV, svelata nel 1995 al Salone di Ginevra quando a Maranello si costruiva la F50, riportava la potenza a 517 cavalli, ed era disponibile solo a trazione posteriore per un uso esclusivo in pista. Si distingueva per la famosa scritta SV sulla fiancata, ereditata anche dalle moderne supercar del Toro, dal design specifico dei cerchi da 18” e da novità tecniche importanti, quali sospensioni meccaniche ed un alettone posteriore regolabile. Nel dicembre dello stesso anno venne presentata la Diablo Roadster, la prima 12 cilindri a trazione integrale della storia Lamborghini.

Nel 1999 arrivò la Diablo GT, ancora più corsaiola rispetto alla SV, con scocca in fibra di carbonio, tetto in alluminio e trazione posteriore. Il motore della GT raggiunse l’apice della potenza della dinastia Diablo con 575 cavalli, uno 0-100km/h in 3.8 secondi ed una velocità massima di 338 km/h.

FINISCE UN’ERA, NE INIZIA UN’ALTRA

Agli albori del nuovo millennio, la nuova proprietà Audi decise di posticipare i programmi di sviluppo per l’erede della Diablo, preferendo investire ancora sul modello in linea e creando così la VT 6.0 che, oltre ad un importante aggiornamento estetico, offriva una versione più evoluta del motore, ora da 6 litri, e migliorie alla trazione integrale. È questo il modello che segna il tramonto della produzione della Diablo, che verrà poi sostituita dalla Murciélago (ve ne parleremo, promesso).

Per i nostalgici degli anni Novanta la Diablo è la supercar per eccellenza, un pezzo di storia dell’automobile italiana con linee che non ci pensano proprio ad invecchiare. Parlarne ancora oggi fa venire i brividi e fa rimanere col fiato sospeso, e se chiudi gli occhi ti sembra quasi di sentire quel magico V12 urlarti in testa. Voglio una Lamborghini Diablo!

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