Ducati Desmosedici RR. Sogno sportivo mondiale, ad uso stradale
Una derivazione sportiva mai vista prima d’allora. E un progetto meravigliosamente folle come nessun altro: portare la guida di una MotoGP nell’uso stradale. Quella che sembrava una pura chimera, divenne realtà a cavallo tra il 2006 e il 2007 grazie alla volontà dell’unico marchio che avrebbe potuto fare una cosa simile. Mettetevi comodi e godetevi la lettura, perché questa è l’incredibile storia della Ducati Desmosedici RR
Se si parla di corse motociclistiche in Italia, nell’epoca moderna, il pensiero non può che ‘correre’ a Borgo Panigale. Se c’è infatti una Casa italiana, su tutte, impegnata nelle competizioni, che si tratti di Superbike o di MotoGP, quella è indubbiamente la Ducati. Tra derivate di serie e prototipi, è certamente il costruttore motociclistico italiano che ha dominato la scena dei Campionati con maggior seguito mediatico negli ultimi decenni, facendo sognare numerosi appassionati in ogni parte del Globo praticamente ogni weekend nel corso del calendario delle competizioni su due ruote. Dalle imprese di Giancarlo Falappa, a quelle di Carl Fogarty, di Ben Bostrom, di Troy Bayliss, di Neil Hodgson e di Rubén Xaus, di Loris Capirossi, di Casey Stoner, di Francesco Bagnaia e di Marc Márquez. E questi giusto per fare qualche esempio, ma l’elenco sarebbe molto più lungo e potremmo continuare parecchio. Insomma: il colore rosso ha dominato in lungo e in largo nelle massime categorie del motociclismo soprattutto nell’ultimo trentennio, imponendosi de facto sulla scena sportiva mondiale. E di ovvio e conseguente riflesso, anche sul mercato, al punto che oggi possiamo dire, senza dubbio alcuno (e con parecchio orgoglio italiano), che Ducati è uno dei massimi riferimenti se si parla di moto sportive impegnate in gara o di stradali con cui divertirsi in pista o sui passi di montagna. E questo anche grazie ad una ricerca tecnica e tecnologica incessante sui tracciati nelle competizioni. Un preambolo, questo relativo alla grande tradizione sportiva della Casa bolognese, necessario per comprendere appieno la protagonista del nostro racconto odierno, perché al centro della nostra storia di oggi vi è nientemeno che una delle moto più folli, esagerate ed estreme mai create. Allacciatevi casco e guanti, perché (dopo avervi parlato nei giorni scorsi di Porsche 918 Spyder, di Ferrari LaFerrari, di McLaren P1 e di F-104G Ferrari, solo per citarvi alcune delle nostre più recenti retrospettive) ad occupare la scena dei nostri spazi virtuali stavolta è nientemeno che la Ducati Desmosedici RR! Una moto veramente pazzesca (sia per tecnica che per quotazioni: è uno dei massimi sogni proibiti di appassionati, ‘smanettoni’ e collezionisti) e che – forse come nessun’altra – affonda le sue radici proprio nelle competizioni. E non in una categoria qualsiasi, ma nella classe regina. Questa assurda due ruote infatti, per la prima volta nella storia, portò realmente sulle strade di tutti i giorni una vera e propria MotoGP, rendendo quindi a conti fatti un prototipo (ovviamente adattato, ma neanche troppo) omologato per la circolazione stradale. E se pensate che per fare ciò Ducati abbia parecchio addolcito la sua moto da corsa… bhé: sbagliate alla grande! La Desmosedici RR è in tutto e per tutto una moto da competizione con targa e fanali e a cui è doveroso dare del lei. E giusto per darvi un’idea di quanto Ducati abbia precorso i tempi con un simile progetto, pensate solo al fatto che per vedere qualcosa di analogo nell’automobilismo si è dovuto attendere sino a pochi anni fa affinché due colossi del calibro di Ferrari e Mercedes-AMG decidessero rispettivamente di presentare la SF90 Stradale e la ONE, entrambe connotate da una stretta parentela con la Formula 1.

Genesi di un progetto destinato a cambiare la storia del motociclismo
Ma facciamo a questo punto un salto indietro nel tempo. Corre l’anno 2002 e nel Motomondiale qualcosa sta cambiando: il regolamento, per essere precisi. A partire dall’anno successivo infatti, la classe regina non sarebbe più stata la famosa 500, ma quella che conosciamo oggi come MotoGP e con motori da un litro di cubatura, passando inoltre dal 2 al 4 tempi (anche se al debutto qualche costruttore rimase, per un breve periodo, ancora fedele al due tempi per poi accorgersi che questa soluzione aveva fatto la sua epoca). Chi vi scrive, allora, militava ancora tra i banchi delle scuole superiori, sognava la sua prima moto e ricorda ancora bene quanto questo cambio fu epocale. E ricorda anche lo scalpore che fece una notizia in particolare: il rientro della Ducati nella massima categoria dopo un trentennio di assenza (potete immaginare l’impatto di una simile notizia nell’animo di un ragazzino appassionato che sfogliava per le prime volte le pagine delle riviste di settore e che stava iniziando a immaginarsi in sella ad una Monster 620 Dark, che sarebbe arrivata un paio d’anni dopo a coronare finalmente quel sogno di unirsi alla grande famiglia dei motociclisti). Desmosedici. Un nome che faticò a entrarmi in testa le prime volte che lo sentii. E legato ad un precisa motivazione tecnica: l’unione tra la distribuzione desmodromica (Desmo, appunto) e il numero delle valvole del motore (16 quindi). Suona quasi comico pensare oggi a faticare di assimilare quel nome, visto che questa è oggi la moto da battere e che la consideriamo oramai come una presenza salda e adamantina nel Motomondiale. E questo perché la Desmosedici la sua leggenda se l’è costruita nell’arco di quasi 23 anni che sembrano essere volati. E fin dal debutto. Sì, perché contro ogni più rosea previsione, la moto progettata da Filippo Preziosi e affidata nelle sapienti mani di Loris Capirossi e di Troy Bayliss, dimostrò da subito di che pasta era fatta, trasmettendo immediatamente un messaggio chiaro: la Ducati non sarebbe stata lì per essere una comprimaria. La Ducati rientrava per vincere. E vinse eccome. Da subito. Certo, non il Mondiale: per quello bisognerà attendere il 2007 (divenendo il primo costruttore italiano a tornare a vincere nella top class a 33 anni di distanza dalla MV Agusta con Giacomo Agostini) e Casey Stoner (ma che sarebbe potuto arrivare anche prima se nel 2006, al via del Gran Premio di Catalunya, uno spaventoso incidente non avesse interrotto la corsa di Capirossi verso il titolo iridato). Ma a Borgo Panigale riuscirono in un’impresa che sembrava impossibile nelle previsioni di chiunque, all’epoca, nell’anno del debutto: la Desmosedici GP3 (che per i più appassionati trovava il suo cuore in un motore a 4 tempi raffreddato a liquido con distribuzione desmodromica da 989 cc e capace di 200 CV di potenza a 16.000 giri/min, nonché di oltre 320 km/h di velocità massima e forte di un peso a secco di soli 145 kg) con il numero 65 andò immediatamente sul podio al primo GP della stagione 2003 e che si corse a Suzuka, dimostrando quindi dal via tutto l’incredibile potenziale della moto. E alla sesta gara di quell’anno, a Barcellona, sul tracciato del Montmelò, arrivò la prima vittoria: Loris Capirossi e la Ducati Desmosedici erano già sul tetto del Mondo. E sul gradino più alto del podio. E a fine stagione, grazie anche al contributo della moto numero 12 di Troy Bayliss, la Ducati si posizionò al secondo posto nella classifica costruttori. Urlando a gran voce a tutti un concetto inequivocabile: la Ducati c’era e faceva paura. E ci sarebbe stata da lì alle stagioni future sino a oggi. Con tanti alti e alcuni bassi, ovviamente. Come è normale che sia. All’inizio la Desmosedici era una moto nota per un carattere estremamente brusco, maschio e scorbutico e ci volle molto lavoro per trasformarla nella motocicletta trasversale e più facilmente guidabile che è oggi.
La MotoGP stradale stava diventando realtà con il sogno iridato già nel mirino
Ma torniamo a noi. Nell’anno in cui Ducati stava già assaporando il sogno iridato (sogno che sfumò poi appunto al Montmelò) con un anno di anticipo rispetto a quando sarebbe poi arrivato, la Casa di Borgo Panigale – forte del clamoroso successo già dalla sua prima stagione della sua moto impegnata in MotoGP – fece una mossa di mercato che nessun altro sarebbe mai stato in grado di concepire (ma che conoscendo la storia del costruttore bolognese forse ci si sarebbe potuto aspettare): presentò una moto talmente folle ed estrema che quasi si faticava a credere potesse essere vera. E lo fece in occasione di un evento particolarmente sentito dai motociclisti, specie quelli italiani. Durante il GP d’Italia del 2006, al Mugello, il costruttore bolognese fece cadere il velo, nella sua livrea e nella sua forma definitiva, dalla Desmosedici RR. Dove la doppia ‘R’ stava ovviamente per Race Replica. Giusto per rendere inequivocabile il messaggio: quella moto doveva portare in strada la massima espressione corsaiola secondo Ducati. La MotoGP stradale era quindi finalmente realtà. E come ovvio, si trattava di prodotto dedicato ad una cerchia ristretta di super-appassionati. Una moto talmente estrema da sembrare quasi inconcepibile. Sì, perché il suo legame con la Desmosedici impegnata nel Mondiale era a dir poco evidente. La sua era una bellezza unica: una bellezza racing. La Ducati Desmosedici RR trasudava quel fascino sportivo che solo una moto pistaiola di alto livello sapeva trasmettere. Niente fronzoli, niente superfluo. Era tutta pura prestazione MotoGP con targa, frecce, retrovisori e fanali. E stop. Per il resto – eccezion fatta per lo scarico omologato – era esteticamente (e in larghissima parte tecnicamente) pressoché la stessa moto impegnata in gara, ma con il libretto di circolazione. Una splendida follia demarcata da stile, grafiche e aerodinamica che richiamavano quelle della Desmosedici GP6 con cui quell’anno erano impegnati nel Motomondiale Loris Capirossi e Sete Gibernau.

Oltre 200 CV di scorbutica derivazione racing e una dotazione tecnica da moto da corsa
Ma andiamo diretti al dunque: il cuore della Desmosedici RR pulsava nel quattrocilindri desmodromico. Un’unità da 989 cc con architettura quadricilindrica a L e con fasatura Twin Pulse (ovvero a scoppi asimmetrici) e ovviamente con distribuzione desmodromica con 16 valvole in titanio (Desmosedici, per l’appunto). La potenza? Oltre 200 CV con scarico Racing (il cui kit veniva fornito a corredo di ogni moto). Ovviamente di prim’ordine la dotazione tecnica. Di quelle da far ‘leccare i baffi’ a tutti gli appassionati: quattro corpi farfallati con iniettori a 12 fori sopra farfalla; doppio albero a camme in testa e con comando a cascata di ingranaggi; bielle in titanio; cambio estraibile a sei marce; basamenti e teste fusi in terra; coperchi in magnesio fusi in terra; impianto di scarico 4 in 2 in 1 con silenziatore dotato di uscite a camino (arriverà poi un kit accessorio che permetterà di modificare codone e scarico sulla falsariga della Desmosedici GP7 che vinse il titolo iridato con Stoner – con singola uscita di scarico Termignoni sotto al codino e uscite al di sotto del basamento – ed ispirato a quello della 1098) e frizione multidisco a secco con antisaltellamento e con comando idraulico. Sul fronte della ciclistica, la Ducati Desmosedici RR si fregiava di: telaio ibrido a traliccio in tubi d’acciaio; telaietto reggisella in fibra di carbonio, con speciali resine ad elevata resistenza termica; forcella Öhlins da 43 mm pressurizzata, regolabile in compressione, in estensione e precarico (con trattamento TiN per gli steli); monoammortizzatore Öhlins con regolazione in estensione alta/bassa velocità di compressione e precarico con attuatore idraulico e cerchi Marchesini forgiati in lega di magnesio a 7 razze. Ciliegine sulla torta: pompa radiale con leva snodata e remote adjuster abbinata a pinze radiali Brembo monoblocco con dischi da 320 x 6 mm GP6 wet race; cruscotto elettronico multifunzionale con indicatore LCD, sviluppato in collaborazione con Ducati Corse; serbatoio in lega di alluminio e carene interamente in fibra di carbonio. A chiudere il cerchio della squisita dotazione della moto erano gli pneumatici Bridgsestone appositamente realizzati per la Desmosedici RR, che presentavano uno speciale intaglio, e con struttura e profilo sviluppati ad hoc. Insomma: un vero capolavoro di ingegneria racing omologata per la strada.
Un momento estremamente emozionante per il Team Ducati dell’epoca
Potete immaginare facilmente l’emozione degli uomini Ducati all’epoca. Che possono essere sintetizzate dalle dichiarazioni ufficiali di Federico Minoli, all’epoca Presidente e Amministratore Delegato di Ducati Motor Holding e di Claudio Domenicali, all’epoca Direttore Prodotto di Ducati Motor e Amministratore Delegato di Ducati Corse (ed ora al vertice assoluto della Casa di Borgo Panigale), che accanto a Loris Capirossi, a Sete Gibernau e a Vittoriano Guareschi, fecero cadere il velo dalla neonata Rossa. “Un momento importante, storico, un altro sogno che si realizza. Produrre la Desmosedici RR – dichiarò Federico Minoli – significa offrire la massima espressione tecnologica Ducati, mantenendo fede alla tradizione di ogni nostra moto: dalle corse alla strada. Una sfida che abbiamo voluto raccogliere e che, anche se in pochi esemplari, rappresenterà l’oggetto del desiderio di tutti i ducatisti. Una moto simbolo, capace di identificare la passione e l’ingegno che ci contraddistingue. Naturalmente il bicilindrico resta, e sempre resterà, il nostro motore per eccellenza, quello con cui equipaggeremo tutta la nostra produzione, la nostra storia, il nostro futuro“. “La Desmosedici RR è veramente una GP replica – aggiunse Claudio Domenicali – il livello tecnologico di questa moto è altissimo e per la prima volta sono state trasferite ad una moto stradale tutta la performance e l’innovazione tipiche delle moto più estreme e sofisticate come le MotoGP. Oltre 200 CV di potenza per una moto caratterizzata da componenti esclusivi e materiali pregiati, destinata a diventare il nuovo riferimento tra le moto di serie. Non potevamo pensare ad una cornice più idonea del Mugello per l’unveiling di questa moto e a presentarla non potevano che esserci Loris, Sete e Vittoriano, perché questa moto è anche la loro moto e la loro esperienza ha contribuito a sviluppare questo prodotto destinato alla serie“.

Sentirsi parte di un sogno mondiale
Come facile immaginare, l’iter di industrializzazione di questa moto non fu immediato. La Desmosedici RR (i cui pre-ordini vennero aperti in data 2 giugno 2006) arrivò sul mercato a partire dal luglio del 2007 (quando venne presentata al Mugello infatti, il prototipo era già in stadio molto avanzato), a oltre 365 giorni dal suo unveiling e proprio nell’anno in cui Ducati centrava il sogno iridato. Questo incredibile prodotto – come ovvio – venne realizzato in tiratura estremamente limitata: solo 400 unità all’anno per il periodo di produzione (in totale si arrivò a 1.500 esemplari) e con diritto di prelazione per chi allora era già proprietario di una 999R. E per i più curiosi, come molti ricorderanno, la Desmosedici RR si ritagliò un istante di celebrità anche sul grande schermo ne “I Mercenari” (certo: non chiedeteci come abbia fatto in quella pellicola Jason Statham a portare con sé alle sue spalle una ragazza, dal momento che la moto esiste solo in versione monoposto e, come abbiamo detto, dalla sommità del codone uscivano gli scarichi a camino, quindi, pure volendo… Magia del cinema). All’epoca serviva firmare un assegno da 55.000 euro, in Italia, per potersi mettere in garage questo pezzo di storia della produzione sportiva stradale di Ducati. Oggi… bhé: si tratta di una moto per la quale tutti i collezionisti farebbero follie e con quotazioni che in media oscillano da 80.000 a 150.000 euro. Fino anche a salire. Due le colorazioni nelle quali venne commercializzata: Desmosedici RR, con colorazione Rosso GP e tabella porta numero bianca sul codone; e Desmosedici RR “Team Version”, sempre di colore Rosso GP con banda bianca laterale come sulla moto da gara. Ciascuna moto venne inoltre corredata da un kit di adesivi che replicavano gli Sponsor del Team Ducati nel 2006, Per i più curiosi, la Ducati Desmosedici RR veniva proposta con 3 anni di garanzia e altrettanti anni di assistenza gratuita. Insomma: se avete la fortuna di averla in garage, bhé dovreste già sapere di possedere più di una semplice moto, ma di avere in collezione una vera e propria pietra miliare non solo della Casa di Borgo Panigale, ma di quella motociclistica in generale. E se potete godervela in pista… meglio ancora! Per tutti gli altri, la Ducati Desmosedici RR rappresenta una sorta di Santo Graal nel panorama delle due ruote: un oggetto mitico e leggendario che solo oggetto non è. Si tratta di un prodotto con cuore e anima che ogni appassionato – anche chi non ha il coraggio di ammetterlo – ha sognato (o sogna tutt’ora) di poter guidare, o anche solo di poterla sentire accesa rimirandola da vicino, magari anche accarezzandone le sinuose forme disegnate dalle sue sportivissime carene. E poi diciamolo: chi non ha voluto sentirsi come Loris Capirossi, Troy Bayliss o Casey Stoner almeno una volta nella vita? Bhé, con la Desmosedici RR questo sogno poteva trasformarsi in realtà. E chi ce l’ha in garage ha solo bisogno di prendere le chiavi, il giubbotto e i guanti ed infilarsi il casco per sentirsi parte di un pezzetto di quel sogno sportivo mondiale chiamato Ducati Desmosedici. Un sogno che ancora oggi, ad oltre 20 anni di distanza, continua ad appassionare, ad emozionare e a far battere i cuori di tifosi, motociclisti, appassionati e ducatisti. Ad astra, Desmosedici!
SI RINGRAZIA: DUCATI








































































